Nella baudelairiana oasi di orrore in mezzo a un deserto di noia vivono Oscar Amalfitano e la figlia Rosa, come sapevamo dopo aver letto 2666, ma adesso scopriamo il perché. Inoltre, possiamo ripassare la genealogia e la bibliografia di J. M. G. Arcimboldi, ora francese e più mondano, non più tedesco e meno maledetto. Infatti I dispiaceri del vero poliziotto si rivela, per la felicità dei fedeli che qui si trovano a casa, un cruciale antefatto del grande romanzo postumo dell'autore cileno. Frammenti, illuminazioni poetiche, fondamenta e fondali, oscuri meandri e deviazioni sorprendenti, energia centripeta che s'inserisce in quel mosaico o cantiere unico che Bolaño è andato perfezionando nel tempo fino a lasciarci un corpus che, pur interrotto dalla morte, assume un senso di compiutezza. Anche qui ci muoviamo tra diverse storie formalmente prive di un centro unificante (Bolaño non si limita mai a "raccontare una storia"), o di un ordine gerarchico che ci permetta di andare a dormire tranquilli la sera, ma comunque intimamente legate da un metodo concatenante nel tempo e nello spazio: ogni risvolto della trama cela un rapporto instabile e tuttavia alla fine evidente con il tutto. La quasi intollerabile tensione narrativa di altri romanzi di Bolaño qui si distende in campi d'azione più ampi e remoti, così, per esempio, il soldato agli ordini dell'esercito imperiale francese in Messico segnala una continuità con il poliziotto incaricato di vigilare Amalfitano a Santa Teresa, ma era lo stesso soldato che aveva stuprato il ragazzino Rimbaud accorso a combattere con la Comune di Parigi. Gli scenari si moltiplicano, molti sono quelli di sempre: Barcellona, Cile, Brasile, Messico, Francia, quell'unicum transnazionale visto da prospettive temporali molteplici ma guidate da propositi ben precisi. Percorsi che raramente si allontanano dall'orlo del precipizio e che considerano l'intreccio narrativo un confronto permanente con il pericolo, dove i nodi non si districano mai in soluzioni artificiose o consolatorie. Soluzioni non ce ne sono. Amalfitano insegnava letteratura: "E cos'è che impararono gli allievi di Amalfitano? Impararono a recitare a voce alta. Mandarono a memoria le due o tre poesie che più amavano per ricordarle e recitarle nei momenti più opportuni: funerali, nozze, solitudini. Capirono che un libro è un labirinto e un deserto, che la cosa più importante del mondo era leggere e viaggiare, forse la stessa cosa, senza fermarsi mai. Che ogni sistema di scrittura è un tradimento. Che leggere non era più comodo che scrivere. Che leggendo s'impara a dubitare e a ricordare. Che la memoria era l'amore". Ecco, l'amore: l'amore per Padilla, il poeta vagabondo di Barcellona malato di Aids che lavora a un romanzo inesistente; il ricordo dello straziante amore per la madre di Rosa, poetica figura idealizzata in un passato giovane e audace, caduta come una vittima dell'amore nelle interminabili fughe latinoamericane; e l'amore per la figlia adolescente, inseparabile dalla paura e dal rischio: "Rosa Amalfitano scoprì che suo padre andava a letto con gli uomini un mese dopo essere arrivata a Santa Teresa e la scoperta ebbe su di lei un effetto stimolante. Che noia! si disse citando inconsapevolmente l'eroina di un racconto di Bioy Casares che stava leggendo. Poi si mise a tremare come una foglia e a distanza di ore, finalmente, riuscì a piangere". E, infine, la memoria del primo amore: la passione e il rimpianto per la rivoluzione, quella follia perduta che segna il destino e la sconfitta di tanti personaggi di Bolaño. Le storie dei Dispiaceri del vero poliziotto, se non fosse riduttivo chiamarle così, non hanno un vero inizio e neanche una fine, si collocano nel mezzo dell'opera di Bolaño, sono parte, come antecedente o come conseguenza, di molte altre narrazioni che hanno dato vita e corpo ai suoi libri, varianti e correzioni di un unico senso di marcia che conduce a una meta incerta e sempre inquietante. Non siamo però davanti a una minaccia gotica o misteriosa, le carte sono sul tavolo, malvagità e bontà appaiono intrecciate e ineluttabili, le illusioni sono fuori luogo. Ma chi è il vero poliziotto? Il fascino della figura del detective in Bolaño permea completamente la sua idea della letteratura, i movimenti dei personaggi seguono indagini e tracce in un mondo che scivola sempre verso il peggio, o che sembra scivolare verso il peggio, e gli scrittori non saranno, non sembrano, mai innocenti. Il catalogo delle opere e degli amici e nemici di Arcimboldi (la consueta predilezione di Bolaño per gli inventari, qui arricchiti da esilaranti schede caratteriali e sessuali su molti scrittori famosi) rientra in questa prospettiva indagatrice che scava nei passaggi tra letteratura e delitto. Eppure il "vero poliziotto", un poliziotto per caso di cui si parla per la prima volta in questo libro, prodotto di una storia familiare comune nella desolata campagna messicana attraverso i secoli, è tutt'altro che un letterato. O forse è un letterato pure lui. Ma sarà meglio non dire di più per non guastare la lettura. Jaime Riera Rehren
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