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Il disordine. Elogio del movimento - Georges Balandier - copertina
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Descrizione


Assumendo il disordine come figura chiave e ricorrendo agli strumenti interpretativi dell'ermeneutica, della sociologia e dell'antropologia, l'autore svolge un'ampia indagine comparativa delle dinamiche sociali e culturali che agiscono nelle società tradizionali e in quelle della «modernità avanzata». L'idea di fondo è che ordine e disordine sono inseparabili, che tutte le società, dalle più «ordinate» alle più «caotiche», sono costrette a confrontarsi col disordine per tentare di addomesticarlo. Dopo un'ampia disamina del linguaggio del mito, della ritualità, del sapere sociale e della scienza contemporanea, in rapporto alla dialettica ordine/disordine, un «elogio del movimento» dal quale non può prescindere un pensiero che voglia aderire allo spirito del nostro tempo.
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Dettagli

2
1995
1 febbraio 1993
336 p.
9788822061201

Voce della critica


recensione di Angioni, G., L'Indice 1992, n. 4

Nei manuali di antropologia Balandier è indicato come il fondatore, in Francia, di un approccio dinamista (in antropologia o in sociologia o in storia, dato che egli si è sempre caratterizzato per il rifiuto, da antropologo, di distinguere temi e metodi di questi tre approcci disciplinari); e da africanista, studioso delle società colonizzate, è presentato come inventore (in particolare nell'opera del 1955 "Sociologie actuelle de l'Afrique noire") della nozione di situazione coloniale, per indicare quella situazione di "disordine" in cui si genera un processo di destrutturazione delle culture indigene, che a loro volta però si modificano non solo per l'azione acculturativa del colonizzatore, ma in conseguenza dell'azione colonizzatrice combinata con la logica del funzionamento interno delle società tradizionali, quindi anche per dinamismo endogeno.
L'approccio dinamista interdisciplinare, che in questo ultimo libro si allarga anche a materie come la termodinamica oltre che alla fin troppo scontata ermeneutica, rimane anche stavolta il suo orizzonte interpretativo, mentre la sua grande erudizione etnografica di africanista offre al "Disordine" la base di dati più notevole e interessante. La profonda conoscenza antropologica delle altre culture gli consente di relativizzare fenomeni della nostra modernità avanzata occidentale, da troppi considerati come unici e irripetibili, incomparabili e perciò quasi incomprensibili, a incominciare dal sempiterno e onnipresente rapporto ordine-disordine, generatore di movimento più o meno accelerato, nelle società tradizionali come nelle "società della modernità". Tipi di società che hanno certo le loro differenze, compresa una differenza di approccio verso il disordine, verso l'azione del tempo, che è ineludibile anche se di solito troppo sconosciuto perché "il disordine agisce di nascosto". Nelle società tradizionali esotiche o del nostro passato, il disordine non è temuto come "una concatenazione di processi destabilizzanti che conduce a cambiamenti irreversibili", ma è trattata come un "gioco di forze che occorre padroneggiare per svuotarlo dalla sua carica negativa e metterlo al servizio dell'ordine". Queste società avrebbero una possibilità di controllo sociale più efficace del disordine, anche mediante un approccio al reale di tipo mitico, che le società moderne e postmoderne non potrebbero più permettersi, e che perciò vivrebbero in un "reale più incerto", col rischio continuo di un ingresso nell'"Era del vuoto", dove il movimento produrrebbe continuamente l'ignoto. Le società tradizionali sapevano invece "giocare d'astuzia col movimento".
Le società moderne hanno anche inventato, come "forma di risposta al disordine", la risposta dell'"ordine totalitario", che non è stata esorcizzata una volta per tutte, ma sarebbe ancora reincombente come ordine più illusorio ancora della risposta del ripiegamento nel privato individuale, più delle risposte di tipo sacrale o del pessimismo nostalgico. Mentre la scelta giusta è quella (troppo ovvia?) di "sposare il movimento", gestirlo come conquista continua in un divenire continuo, che gli uomini "postmoderni" possono e devono orientare con valori etici elaborati e praticati democraticamente .

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