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recensione di Fossati, P., L'Indice 1987, n. 3
È la nuova edizione (resa più agibile per un largo pubblico, ma non mutata o limitata, rispetto alla prima dell'82) di un testo fondamentale che avuto il non piccolo merito di restituire alla cultura della produzione connotati accessibili e motivazioni (storia vicende cultura e motivi, oltre che progetto ed opere) ragionevoli. L'opera è stata pensata ed impostata da Vittono Gregotti che ne ha redatto le pagine di avvio, e i capitoli delle tre parti in cui, per tagli cronologici (tradizionali ma persuasivi) si divide la vicenda, affidando a collaboratori la stesura delle schede di oggetti, situazioni e aree operative (1860-1918, curata art M. Di Giorgi; 1919-1945 da A. Nulli; 1946-1980, da G. Bosoni). Le novità dei libro le dice subito il titolo, che nel "disegno del prodotto" colloca due chiavi di lettura, e da un lato sottolinea l'autonomia dall'architettura del moderno (o, peggio, dal relativo Movimento Moderno) della vicenda della produzione industriale, dal punto di vista del lavoro progettuale (sua cultura, suoi strumenti, sue idee), mentre da un altro ridiscute analiticamente caratteristiche e sviluppi della cultura del progetto (entrano in gioco e si raccordano vicende industriali e metodi di formazione dei progettisti, dibattiti fra aree del moderno ed arti decorative, afflusso di dati per rivista ed occasione propositiva delle mostre, personaggi e interpreti, culture individuali e spazi di dibattito). Gregotti distingue due possibili modi di intender la questione, uno attestato sul più tradizionale termine design (che è "forse maggiormente legato alla materialità dell'azione e quindi rimanda alla non distinguibilità fra mezzi d'uso ed uso dei mezzi") e l'altro, quello da Gregotti privilegiato, che si concentra su progetto, o disegno in quanto strategia di attuazione. Nel secondo caso l'attenzione andrà rivolta al rapporto fra autore e sua formazione, cultura e strategie, natura dei materiali o tecniche a disposizione e possibilità sistematiche di attuazione. Non un gioco di intenzioni (e, con sollievo, Gregotti fa a meno di teorici e ridefinitori del design) ma di situazioni, e di forzatura o assestamento dei limiti. Col risultato, in sede di storia di centoventanni, ma anche di concreta esperienza in atto, di un libro dominato dalla esigenza "di restituire alla cultura industriale italiana, anche se povera, approssimativa e certamente in ritardo rispetto ad altri paesi industrializzati il merito, o meglio le caratteristiche del proprio contributo progettuale, il che significa insieme visuale e meccanico" come spiega ad apertura di volume l'autore. Citazione questa da cui sarà bene trarre fuori le ultime battute, come un segnale di ciò che di più personale e "tagliato" il libro offre: una ridiscussione dei termini del territorio operativo del progetto in una luce che sarei tentato di dire più artigianale, più attenta a dati concreti e a scelte più problematiche e complesse di quanto una idea di progetto come risultato materialmente e formalmente definito non consenta. (E qui il consiglio è che il lettore proceda per raffronto, magari rileggendo quel florilegio di editoriali per la rivista "Casabella" che Gregotti ha appena stampato col titolo di "Questioni di architettura" da Einaudi). L'importanza del libro, una volta lodatane la pazienza critica e la utilità di storia e vicende ben raccontate, è nel rovesciamento di visione del prodotto industriale nel quadro delle questioni maggiori del secolo (architettura, strutture di comunicazione, la formalità dell'ambiente) e nella discussione delle procedure (formali e simboliche) del progettare. Se sul primo punto la rivendicazione di autonomia e di particolarità del territorio "prodotto industriale" è decisiva, il richiamo a una diversa interpretazione delle questioni di mestiere ha un significato più generale, che non sfuggirà al lettore attento.
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