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Il libro è costruito in forma di intervista con le domande di Andrea Rapini, autore di Antifascismo e cittadinanza: giovani, identità e memorie nell'Italia repubblicana, (Bononia University Press, 2005), ad Alberto De Bernardi, storico che appartiene alla generazione che aveva vent'anni nel '68. Il riferimento biografico è modulato all'interno della égo-histoire che correda una parallela storia sociale della storiografia. L'autore si confronta con le categorie concettuali elaborate dalla scuola storiografica antifascista negli anni sessanta e settanta. Già al tempo, De Bernardi ravvisava la sterilità di quelle posizioni che portarono lo storico Nicola Gallerano, alla fine degli anni ottanta, a denunciare dall'interno la crisi del paradigma antifascista. Gli elementi di debolezza del paradigma incrociavano approcci metodologici di stampo storicista (la superiorità etico-civile della storia politica) con una serie di postulati che hanno in parte ostacolato la comprensione del fascismo come dell'antifascismo.
Fu controproducente vedere nel fascismo una chiesa senza fedeli, negarne la natura rivoluzionaria, negarne gli aspetti di modernità reazionaria (temi che De Bernardi aveva già affrontato nel precedente Una dittatura moderna, Bruno Mondadori, 2001), ma che qua si confrontano più direttamente con il contesto sociale e scientifico dei decenni passati. Allo stesso tempo, il paradigma antifascista aveva schiacciato la visione della Resistenza nell'insufficiente categoria esplicativa di lotta di liberazione che paradossalmente ne oscurava la progressiva ideologizzazione antifascista. La legittimazione, anche odierna, dell'antifascismo deriva da altri elementi, sostiene l'autore, ed è su questo passaggio che il libro presenta i suoi aspetti più innovativi. Fascismo e antifascismo vanno assunti nella loro dimensione europea di crisi della democrazia liberale uscita dalla Grande guerra.
L'antifascismo è qui declinato come riflessione matura sulla democrazia, una democrazia che risolve il suo rapporto con la società di massa, che diventa una democrazia inclusiva nei confronti dei ceti popolari, ma anche una democrazia che guarda a un nuovo rapporto con l'economia per consolidare i suoi strumenti. La svolta cruciale, in termini di esperienze e di elaborazione di pensiero, matura negli anni trenta. Il testo percorre questi tracciati nelle riflessioni degli antifascisti, dall'intuizione precoce di Giovanni Amendola, che definisce l'antifascismo "l'evoluzione democratica del liberalismo", alla più compiuta sistematizzazione di Carlo Rosselli, il cui socialismo liberale ripudia la rivoluzione e si innesta nell'internazionalizzazione della lotta al fascismo. Nel guado, l'atteggiamento comunista degli anni venti e trenta, che non offre un contributo all'antifascismo, ritenendolo un elemento temporaneo per conseguire fini rivoluzionari. Il comunismo nell'antifascismo si pone come elemento estraneo e solo più tardi si innesta su un patto costituzionale dotato di "sorprendente forza". Per l'autore resta lo spessore e l'attualità di un ridefinito antifascismo storico, un antifascismo non classista e volto a una dimensione inclusiva. Dentro a questo passaggio, c'è la condanna dell'antifascismo di classe degli anni sessanta e settanta, con la politicizzazione della storia.
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