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Nato nel 1909 a Fiume - prima della nazionalizzazione imposta con la forza dal fascismo si chiamava Weichzen -, Leo Valiani divenne, ancora giovanissimo, un antifascista intransigente. Aderì al Pcd'I e scontò anni di galera. Nel 1939, esule in Francia, abbandonò il partito in seguito al patto Ribbentropp-Molotov. Non rese tuttavia noto l'abbandono. Volle infatti condividere la sorte dei suoi antichi compagni di fede. Internato nel campo di Vernet, dopo il rapporto con alcuni comunisti, tra i quali era allora anche Altiero Spinelli, ebbe modo d'incontrare Arthur Koestler, l'autore di Buio a mezzogiorno . La stagione politicamente migliore, e più produttuva, fu per Valiani legata al Partito d'azione. Cementò nell'occasione le amicizie fondamentali: Franco Venturi, Aldo Garosci, Ferruccio Parri, Ugo La Malfa. Nello splendido Tutte le strade conducono a Roma raccontò il suo ruolo di dirigente nel partito che consentì, più degli altri, di recuperare la tradizione democratica. Paradossale il suo destino politico: giovane deputato alla Costituente - aveva trentasette anni -, fu nominato senatore a vita nel 1980 da Sandro Pertini. I discorsi parlamentari di Valiani testimoniano quindi dell'origine della Repubblica dei partiti e degli anni della sua irreversibile crisi. Mostrano il limite autentico dell'azionismo: una proposta in anticipo rispetto ai tempi effettivi della società italiana. Capace di impostare i temi fondamentali della modernità novecentesca - delineati da Giorgio La Malfa nel saggio introduttivo -, impotente nello svolgerli. Non per malafede altrui, ma per l'immaturità del contesto. Non si conclusero con il fascismo le tribolazioni della nazione italiana, come Valiani avvertì acutamente a più riprese. Solo dopo il loro esaurimento, l'Italia, non più sola, ma nel quadro europeo, avrebbe potuto cominciare la vita adulta.
Paolo Soddu
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