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La critica ai governi di centrosinistra, incapaci di avviare la necessaria modernizzazione e di eliminare gli squilibri della società italiana, costituisce il leitmotiv dell'esperienza parlamentare di Chiaromonte, esponente di spicco del Pci, rappresentante della cosiddetta ala "migliorista" del partito, prima deputato dal 1963 al 1968, e poi senatore dal 1968 al 1993, anno della morte. I rilievi mossi alle maggioranze governative riguardano per lo più il rinvio sine die delle politiche riformatrici imposto dalla coppia Carli-Colombo, massimi responsabili della politica economica. Fedele alla formazione culturale meridionalistica, Chiaromonte presta grande attenzione al tema del rilancio del Mezzogiorno, inteso a lungo come soluzione della questione agraria, da attuarsi tramite una rigorosa programmazione che superi la vecchia logica clientelare dell'intervento straordinario. Con il trascorrere degli anni, l'autore coglie lucidamente l'involuzione progressiva del meridionalismo, entrato in crisi irreversibile anche a causa dell'affacciarsi di quella "questione settentrionale" che pochi anni dopo sarà intercettata dalla Lega. La lettura di questi discorsi permette di constatare come la polemica politica, per quanto dura e appassionata, venga sempre mantenuta nell'alveo della correttezza istituzionale. Non è infatti mai disgiunta dalla volontà di collaborare alla soluzione dei problemi. Ed esprime un'opposizione responsabile e non solo protestataria. Ciò è particolarmente evidente nei discorsi del periodo dei governi di solidarietà nazionale, dei quali Chiaromonte è un convinto sostenitore. Un'eccezione a questa regola è rappresentata dalla dura battaglia parlamentare ingaggiata contro il taglio della scala mobile voluto dal governo Craxi, da lui combattuta in prima fila in qualità di capogruppo al Senato, anche se forse non del tutto condivisa.
Claudio Rabaglino
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