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Anno edizione: 2014
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recensione di Baratta, G., L'Indice 1996, n. 3
Se beviamo tutto d'un fiato una coppa di champagne, la seconda sarà bene centellinarla. Così per le (consigliabili) due letture di questo aureo libello di Edward W. Said che l'editore avrebbe fatto bene, con un pizzico di coraggio, a intitolare traducendo dall'originale: "Representations of the intellectual". Perché qui viene riabilitata questa categoria oramai messa epistemologicamente al bando - la rappresentazione - e con essa quella di realtà, altrettanto tabuizzata. È una tematica che potrà venir presto approfondita, non appena la Gamberetti editrice darà alle stampe l'ultima grande opera di Said, "Cultura e imperialismo".
Gli intellettuali, dice Said, "hanno, come vocazione, l'arte di rappresentare", ossia di dare espressione o visibilità a un determinato punto di vista sulle cose. Cerchiamo allora di "rappresentare" funzione, ruolo, modo d'essere degli intellettuali: è il duplice assunto di queste pagine che riproducono nella sostanza cinque Reith Lectures tenute alla Bbc nel 1993.
"Nella profusione di studi sugli intellettuali, troppi hanno cercato di definirne la figura e troppo pochi di disegnarne il rilievo dell'immagine, dell'impronta, dell'intervento e dell'azione nel vivo, ossia di tutto ciò che costituisce nel suo insieme l'essenza vitale di ogni vero intellettuale". L'autore tiene pienamente fede a questa promessa, e perciò le sue simultanee rappresentazioni - su chi sono e che cosa fanno gli intellettuali - risultano assai gustose oltre che scientificamente perspicue.
In verità il "chi sono" appare strettamente connesso, ma con qualche confusione di ambiti, con il "chi dovrebbero essere". Il testo ne risente, non chiarendo fino in fondo se intende fornire in primo luogo un saggio analitico o un polemico pamphlet.
Sul primo versante - quello analitico - Said ritorna agli anni venti-trenta affrontando il confronto tra l'universalismo europeizzante di Benda e l'aderenza al concreto di Gramsci, il quale vede più lontano: "Chiunque operi in un campo legato alla produzione o alla diffusione del sapere oggi è un intellettuale in senso gramsciano". Altri autori citati da Said, come Virginia Woolf, Benjamin, Foucault e Sartre, arricchiscono in modi diversi il quadro disegnato da Gramsci che ha il suo centro nel rapporto di interazione tra l'enorme crescita di peso e volume degli intellettuali, e la struttura del "dominio".
Sul versante descrittivo incontriamo rapidi efficacissimi medaglioni, che costellano origine e sviluppo del nostro secolo. Come la "rappresentazione" del "giovane intellettuale moderno" in "Padri e figli" di Turgenev, ne "L'educazione sentimentale" di Flaubert e nel "Ritratto dell'artista da giovane" di Joyce. O di Wright Mills "intellettuale indipendente", di V.S. Naipaul e di Adorno "intellettuali in esilio", il cui prototipo è Giovan Battista Vico, o del "nomade" C.L.R. James. Di Glenn Gould o Hobsbawm o White, che sono intellettuali "professionisti", o di Chomsky, che è invece un politologo "dilettante".
Gli esempi potrebbero moltiplicarsi. Giungendo rapidamente verso i giorni nostri, piano analitico e dimensione "politica" del discorso si intrecciano in un tessuto sempre più fitto che acquista colori vieppiù drammatici: "In una situazione così esplosiva la cosa più difficile, per un intellettuale, è esercitare la critica, rifiutare l'uso di uno stile retorico - equivalente verbale di un bombardamento a tappeto".
L'organico libello si manifesta allora anche come un panegirico di valori positivi, che si oppongono al totale fagocitamento degli intellettuali da parte delle istituzioni economiche e politiche dominanti, e che perciò costano coraggio, sofferenza e precarietà: la "passione intellettuale", uno spirito "critico" e "laico", "scettico" e "ironico", la scelta della "solitudine" contro l'"allineamento", l'accettazione della "marginalità".
"Le rappresentazioni dell'intellettuale" a cui Said mostra di tenere "sono strettamente collegate a un'esperienza radicata nella società, di cui tali rappresentazioni dovrebbero continuare a essere parte organica: l'esperienza dei poveri, di chi non gode privilegi, di chi non ha voce n‚ rappresentanza n‚ potere".
Si esprime qui l'impegno di Said per ristabilire, giunti alla fine del nostro secolo, la centralità di un nesso che tutto lo attraversa: tra cultura e politica.
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