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Il 20 febbraio 1909 usciva sul quotidiano parigino "Le Figaro" l'articolo-manifesto in cui Filippo Tommaso Marinetti enunciava i capisaldi del movimento artistico che fondava anche con quell'intervento giornalistico d'oltralpe. Ma l'arte era solo il mezzo per esprimere un più generale "atteggiamento verso la vita, un modo di essere e di porsi nei confronti della società e della civiltà tradizionali". Così scrive Perfetti in questo saggio che, nella prima parte, esamina il rapporto tra futurismo e fascismo attraverso la figura di Marinetti e le vicende, pubbliche e private che lo legarono a Mussolini. I rapporti tra i due personaggi non furono sempre lineari, come pure non lo furono tra i rispettivi movimenti da questi fondati e guidati. Ma le tensioni nacquero dal permanere nel futurismo di quell'esigenza rivoluzionaria, o meglio sovversiva e antitradizionalista, che i fasci di combattimento avevano progressivamente abbandonato nella misura in cui da marginale movimento antisistema si andavano trasformando in partito dominante dell'intero sistema politico nazionale. Sul terreno instabile ed effervescente del primo dopoguerra, esteti d'avanguardia e sovversivi in cerca di nuove collocazioni politiche avevano potuto trovare uno spazio di condivisione e un momento di alleanza. Sarebbe potuto finire tutto nel cimitero delle illusioni ribellistico-rivoluzionarie e invece da quell'incontro occasionale scaturì un'ibridazione politica e culturale che consentì a Mussolini, fra l'altro, di accreditarsi presso parte degli ambienti artistici dell'avanguardia attivi in Italia fra anni dieci e venti. Eppure, all'inizio, autunno 1918, Marinetti nutriva perplessità: "Sento il reazionario che nasce in questo violento temperamento agitato pieno di autoritarismi napoleonici e di nascente disprezzo aristocratico per le masse".
Danilo Breschi
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