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E' una riflessione sulla matematica e "sull'irragionevole efficacia della matematica", la "serva padrona" di molte discipline scientifiche, in particolare della fisica. Tuttavia la matematica è ancora inadeguata ad esprimere la complessità del caos e dei sistemi biologici. L'autore si pone questa domanda: la matematica è stata inventata dalla mente umana, oppure è già inscritta nella natura e basta scoprirla? Invenzione o scoperta? Per sbrogliare questa matassa, l'autore, interpella fisici, filosofi, studiosi del cervello, psicologi, darwinisti e ripercorre, in parte, la storia della matematica. Alcuni esempi. Per Newton gli uomini scoprono la matematica. " Dio era un matematico non solo metaforicamente, ma quasi in senso letterale. Il Dio Creatore aveva generato un mondo fisico governato da leggi matematiche". Cartesio aggiunge che " le verità matematiche, che voi chiamate eterne, sono state stabilite da Dio e ne dipendono interamente, come fanno tutte le restanti creature". Per Galileo, processato dall'Inquisizione per il suo eliocentrismo, afferma: " La natura è un grandissimo libro scritto in lingua matematica". Infine Roger Penrose ritiene che ci sia "il mondo platonico delle forme" che è altrettanto reale quanto quello fisico e quello mentale; questo mondo " è la patria della matematica". Per quel che mi riguarda propendo per la scoperta; se ho ben capito anche l'autore è di questa idea. Se non è così, pazienza.
La matematica è un'invenzione della mente umana oppure "esiste" davvero come "realtà" del mondo? Per quasi tutto il libro, l'autore ripercorre le risposte che vari filosofi e matematici hanno hanno dato a questo quesito nel corso dei secoli; a mio giudizio, l'escursus è davvero troppo lungo e risulta decisamente noioso. A "salvare" il libro è l'ultimo capitolo, il quale avrebbe meritato ben altro spazio; è lì che l'autore tenta di fornire la risposta alla domanda, esprimendo in poche righe idee davvero interessanti e lasciando al lettore alcuni spunti di riflessione. Un po' troppo poco, però.
L'intento di una ontologia essenziale della matematica è coltivato dall'autore con rigore e impegno e la sua condizione di astrofisico avrebbe indotto a ritenere la scelta per una ontologia essenziale della matematica di tipo realista e cioè per la oggettività materiale delle sue strutture, invece l'opera pencola in modo diverso suggerendo l'idea che Livio abbia finito per cedere al fascino degli idealisti e cioè per una matematica puramente intellettuale e convenzionale, idea che costituisce uno dei disastri epistemici più difficili da rimediare. Indubbiamente cede alla tentazione filosofica comprensibile per uno scienziato della fisica che quindi invidia le strutture formali hilbertiane e del convenzionalismo e finisce per rendere una gnoseologia essenziale della matematica in un'opera di intento ontologico. Un platonismo mancato, quindi? Non si può dire perchè indubbiamente la suggestione gnoseologica in filosofia della matematica, dopo Godel, ha affascinato e conquistato molti algebristi e l'autore è di questi, nondimeno la sua opera si può iscrivere di pieno diritto nei manuali necessari di filsofia della matematica perchè si pone cone contributo esegetico ed espistemico quello di costituire un viatico di intelligenza alla mathesis e quindi soddisfa la condicio maxima di qualificazione di un testo come iscritto nella philosophia e cioè nella teoria pura del ragionamento per la intelligenza della materia. Nella filosofia tout court, quindi, che resta invariabilmente la teoria sulla condizione di intelligenza e in questo senso Livio, sia pure gnoseologicamente sacrificando una ontologia che invece da un fisico ci si aspettava più elaborata, ottiene il risultato: introduce ad una teoria della intelligenza matematica che non ha niente da invidiare ai grandi dell'apprendimento matematico (D'Amore, Butterworth, Cellucci) e anche ai linguisti del segno matematico in ambito musicale (Superchi) o psicoanalitico (Matte Blanco). L'opera è importante nella formazione.
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