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nessuno più di Heschel ha saputo divulgare l'anima ebraica e farne comprendere anche ai semplici e non iniziati la sua essenza profonda. La tradizione culturale ebraica, giuridica ed etica, certamente la più complessa ed aristocratica quantomeno per la presenza di autori come Baeck o Rosenzweig, trova invece in Heschel la ragione popolare e remota che ne fonda il fascino e la sottrae alla sua dimensione iniziatica esoterica ermetica. Scriverà Puech nel suo saggio sull'ebraismo che alla domanda "chi è ebreo?" Heschel ha dato la risposta più folgorante e travolgente di tutti. A questa domanda i grandi talmudisti, gli interpreti della Legge e i grandi dottori di Israele hanno tutti dato la loro risposta ma nessuna di esse sfiora la potenza ermeneutica e ideologica del brocardo di Heschel: "Ebreo è colui che non tollera l'ingiustizia". La violazione della Legge, l'abuso a proprio carico o indifferentemente a carico di altri e così emerge il senso profondo della Legge di Israele "ama il prossimo Tuo come Te stesso" la regula maxima di Hillel, l'essenza del comandamento scritto nella Legge degli ebrei. E' con Heschel che l'ebraismo diventa la religione dela Legge ed il suo modello non è l'asceta nè il pio ruffiano, ma il Giusto, il maestro di giustizia, che l'osservanza della Legge impegna nella tutela del bisognoso e dell'oppresso. La consegna ed il compito, quindi, che la religione della Legge costituiscono per il Giusto d'Israele, il fondamento sociale e non monastico o solitario della propria religiosità giuridica, che lo vincola alla lotta quotidiana affinchè il Bene, cioè la Legge, costituisca impegno per tutti e soggezione senza eccezioni. Eccezioni che invece con la formazione di centri di potere o di influenza si sono volgarmente imposte in recenti fasi sociali. L'ebraismo non ha bisogno di incontri o seminari avendo nella Legge il manifesto e lo strumento di una lotta che costituisce la prova della presenza sociale del sacro e della Ragione d'Israele, cioè la Legge che s'incarna nel Giusto.
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