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L’opera di Marco Galvagni, Dieci dolcezze (puntoacapo Editrice, 2020; che poi sono molte più di dieci…), parrebbe un trionfo di sperimentalismo lirico e classicheggiante nel quale l’autore s’impegna a consegnarci ogni sua visione e/o reminiscenza sentimentale ed erotica, entro una vasta sublimazione della sua (non più solo angelica) donna. Come sostiene il critico Mauro Ferrari, quest’opera si distingue per una «straordinaria unità espressiva»: fondamentalmente ogni composizione ripercorre il medesimo clima mentale; talvolta tornano pure alcune immagini-simbolo dell’amore del poeta… Il tutto pare allora un continuum, quasi un’immensa meta-poesia che termina solo nella notte d’amore (ogni notte, insomma). Il libro deve dunque essere un lunghissimo sogno – dai contorni tanto sfumati – dal quale Galvagni non vuole sortire, per poter così godere appiano quel piacere (d’amore, e in ogni forma!) assai volatile e già disperso.
Da un milanese forse ci si aspetterebbe altro; Galvagni contraddice quel cliché, egli sembra piuttosto un latino, o quanto meno un portatore di colori e di luce mediterranea. In lui spira l’aria del mare, della libera natura. Egli è un sudamericano nato a Milano. Il tema della poesia di Galvagni è uno soltanto: la donna. Non ho affatto intenzione di esaurire gli argomenti del libro, ché non sarebbe possibile. Al lettore il piacere della scoperta. Il riferimento dei pochi dati di realtà non è a una sola donna, o almeno così sembra, ma all’universo femminile, a partire da una ragazza “reale” ma appartenente al trascorso. La donna è desiderio di unità nel due, “nel dolce sogno d’una vita comune” (p. 40). D’essere condotto “per mano”, “verso una vita felice,/verso l’inferriata/che mi divide da me stesso” (p. 49); o anche, le si dice, “verso una vita lieta,/divelgi l’inferriata che mi divide/dal tuo sorriso che tutto occulta” (p. 53); colei con cui già (s’immagina) “Viviamo in un solo zampillio,/apparteniamo al porto più felice”, mentre “più oltre tutto è macerie” (p. 66). La donna è desiderio, amore d’amore, da parte del poeta, desiderio d’essere desiderato (pp. 29, 61) e amato (pp. 29, 79). Rimedio sicuro alla solitudine, lo stato che viene più volte menzionato (pp. 36, 43, 44, 71) ed è in grado di sondare “la mia mente penetrando nell’anima” (p. 65). Ferrari, nella postfazione, scrive che Galvagni è decisamente ispirato dalle radici della poesia occidentale, ripercorrendola tutta, compresa la tradizione cortese del medioevo; aggiungerei che ciò rischierebbe, di per sé, di collocarlo fuori tempo, decisamente e da molti punti di vista. Ma intanto, mi sembra sia vero. Tuttavia, oltre a concordare sullo spirito di tale collocazione, direi che c’è dell’altro, che non sfugge a Ferrari, quando egli accenna al “repertorio lirico-erotico” di questo poeta: qualcosa dei suoi versi lo rende modernamente antico, scrive Ferrari.
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