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Ingeborg Bachmann seppe usare genialmente la radio per scrivere saggi a più voci che hanno ancora natura d’etere e riescono a trasmettere, come una vibrazione, lo stato di grazia che scaturisce dall’incontro con grandi scrittori – in questo caso Musil, Wittgenstein, Simone Weil e Proust. Esemplare è l’esposizione del pensiero di Wittgenstein, che prende, nello svolgersi di pagina in pagina, nelle citazioni reiterate dal Tractatus, un tono commosso, di emozione sospesa. In poche linee è illuminata l’opera, ma anche il pensatore: vediamo sullo sfondo un Wittgenstein schivo, imbozzolito nel silenzio, così come di Musil, in poche righe, ci è data la ricostruzione partecipe di un’esistenza tutta tesa a un solo scopo. Ma non meno impressionante è la vivezza con cui vengono rivendicate l’opera della Weil e quella «dura, rivoluzionaria» di Proust. Clamorosa dimostrazione della possibilità di spiegare un autore con la chiarezza massima, eppure mantenendosi al più alto livello, questi saggi – tra i quali corrono rinvii segreti, parole-spia quali «mistica» e «orrore»- fanno sì che la Bachmann, parlando di chi ama, parli di sé, come lasciando circolare un’unica linfa.
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