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Gilberto Finzi ha dedicato lunghi anni alla letteratura in qualità di docente, critico e consulente editoriale, distinguendosi inoltre in modo particolare come poeta impegnato nella ricerca linguistica e sperimentale. Raggiunta la ragguardevole età degli ottantacinque anni, ha deciso di dedicare a se stesso l'omaggio di una pubblicazione, presso le eleganti edizioni Nomos, di una sessantina di poesie scritte nell'arco di pochi mesi, "versi insoliti e inattesi...poesie non liriche, umane, forse irripetibili", tutte incardinate intorno al tema della senilità. Ovviamente, il fil rouge che lega la maggior parte dei versi è quello della memoria. Quindi la nativa Mantova, con Piazza Sordello percorsa da turbe di studenti vocianti; i sogni di gioventù irrealizzati; la maestra elementare; le donne amate, le polemiche letterarie; gli scrittori più ammirati e studiati. Ricordi di una vita, che ora appaiono annebbiati e talvolta privi si significanza: "Vengono e vanno gli zero colorati,/ i fosfeni, gli inganni di tutto il passato". Ma la meditazione sul tempo che passa riguarda anche lo spettrale presente, fatto di isolamento, di visite mediche, di disfacimento fisico. E la vanità dei gesti e dei pensieri, la noia di ore che non passano mai e non si sa come riempire. Anche meditare sulla realtà della morte non aiuta più, e i filosofi tante volte interrogati ed esplorati non sembrano avere più risposte da suggerire. Allora la domanda più insistente verte sul momento della fine, che si spera improvvisa, indolore e notturna: "Sento il cuore che batte./ Insiste./ Anche questa notte è passata./ Non è successo". Se il futuro non può riservare sorprese, Gilberto Finzi sa però mantenersi poeta fino in fondo, e continua a credere nel miracolo dell'istante da penetrare con ammirata gratitudine: "Molto mi preme/ questo attimo, lasciarmelo/ vuol dire vivere".
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