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Descrizione


Il nome di Nijinsky evoca tutta la leggenda dei Balletti Russi, quella apparizione bruciante e fugace che avrebbe segnato una svolta nel gusto e l'irruzione del moderno nell'arte della danza. Ma Nijinsky fu anche un singolare destino, che ci parla soprattutto dalle pagine di un libro: i suoi travagliati "Diari". Quando Diaghilev lo lanciò, nel 1909, Nijinsky era un giovane allievo della scuola di danza di Pietroburgo. In breve tempo sarebbe diventato uno degli esseri più osannati e idolatrati d'Europa. Ma l'equilibrio del ballerino era fragile: su di lui incombeva la follia, che lo avrebbe presto travolto. E proprio sulla soglia della follia Nijinsky scrisse, nei primi mesi del 1919, questo febbrile diario.
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Dettagli

2000
9 febbraio 2000
210 p., Brossura
9788845915178

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Narau
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Alternanza di momenti di impressionante lucidità e disarmante follia. Poco incentrato sulla danza, sul teatro, sullo spettacolo. Più che altro lo spaccato di vita quotidianamente vissuta di un artista, con riflessioni sul periodo storico, su personaggi famosi dell'epoca, sulle relazioni familiari ed affettive di Nijinsky, sul suo modo di percepire la sua pazzia e sul modo in cui egli vedeva gli altri percepirla. Molto toccante ed interessante non solo per gli amanti del balletto.

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Voce della critica


recensioni di Scarlini, L. L'Indice del 2000, n. 05

Il diario di Vaslav Nijinsky è un'immersione negli abissi della follia, in cui scopertamente si palesa la fisionomia di un visionario schiacciato dall'urgenza delle cose. La sua apparizione era stata salutata ovunque come un miracolo e testimoniata da scrittori, persone di teatro e artisti attratti da questo grandissimo, sconvolgente "poeta del movimento", emerso da una disperante situazione di povertà e destinato ad assurgere alle più alte vette della notorietà. Così lo descrive una sua collega, Tamara Karsavina, a lungo sua partner in Lo spettro della rosa, nell'autobiografia Theatre Street raccontandone i tumultuosi e folgoranti esordi. "Nessuno era consapevole della grande novità che era in arrivo. (...) Una mattina arrivai prima del previsto alle prove e i ragazzi stavano ancora finendo gli esercizi. Detti uno sguardo di sfuggita e non riuscii a credere ai miei occhi: un ragazzo si alzava di molto sulle teste degli altri e sembrava che fosse incollato in aria. Davanti a me c'era un prodigio e capii che il ragazzo non si rendeva conto delle sue qualità, era prosaico e sotto tono". Questa descrizione è la prima di una serie che lo rappresentano come un'artista inconsapevole di sé, ma la forza della sua arte venne universalmente riconosciuta e l'eros ambiguo delle sue rappresentazioni suscitò scandali e polemiche, di cui è celeberrimo esempio L'après-midi d'une faune, in cui il danzatore riuscì davvero a incarnare la totalità di un momento di tumultuosa ricerca estetica, diventando ben presto un'icona simbolista, corteggiato da schiere di fan e disprezzato da detrattori altrettanto isterici. Nella diatriba su quel celebre spettacolo fu risolutivo infatti un contributo di Rodin apparso su "Le Matin", in cui il grande scultore elevava un panegirico a Nijinsky presentandolo come una reviviscenza dell'età classica che: "possiede tutta la bellezza degli affreschi e delle statue antiche. Rappresenta il modello ideale al quale ogni pittore e scultore ha sempre mirato".
Il diario ha avuto vicissitudini editoriali complesse: nel 1936 venne presentato in una versione pesantemente censurata (in specie per tutte le parti che trattano di argomenti connessi alla sessualità) dalla moglie, che lo aveva tradotto in inglese con la collaborazione di Jennifer Mattingly. Quella prima versione è stata pubblicata nel 1979 da Adelphi, che ora finalmente presenta la nuova edizione che Christian Dumas-Lvowski e Galina Pogojeva hanno stabilito esaminando i manoscritti originali, dopo aver superato un divieto a lungo imposto dai familiari del danzatore. Al momento della stesura del diario, nel 1919, lo sfavillio del jet-set internazionale è ormai solo un ricordo, e Nijinsky si trova in Svizzera insieme alla moglie Romola De Pulszky, che ha spesso avuto nella sua vicenda i tratti di una avventuriera, e alla figlia Kira, e corteggia il baratro della demenza, in cui ben presto precipiterà irrevocabilmente. I Balletti russi entrano nella narrazione ormai solo per flash e accenni, per lo più dolorosi o risentiti, per cui Diaghilev viene presentato come un mostro di cattiveria "i cui sorrisi sono falsi" e che gli ricorda "una vecchia cattiva"; Stravinskij è solo una persona arida; Massine, suo erede come primo ballerino della compagnia, è un ragazzo viziato che "non conosce la vita perché i suoi genitori erano ricchi"; e anche la sua carriera solista viene presentata, di scorcio, solo per il tormentato Till Eulenspiegel su musiche di Strauss, di cui viene narrata esclusivamente la difficoltà di realizzazione.
Il motivo centrale del racconto è infatti l'idea di se stesso come riformatore del mondo, come un nuovo Cristo che non lesina dichiarazioni di passione universale: "Io amo tutti e voglio l'amore universale" e che non esita a offrirsi in olocausto per la diffusione della bontà, abbracciando anche temi che evidentemente non gli appartengono, come la politica ("il wilsonismo non mi dà pace") e la finanza, nella prospettiva di una nuova ripartizione dei beni economici, sicuro che questo gli permetterà di aiutare il suo prossimo. L'affermazione più frequente quindi è quella che concerne la necessità del sentimento come motore primo della vita individuale e sociale, idea che lo porta a combattere quelli che ritiene i nemici di questa felice condizione: mangiare carne e dedicarsi alla sessualità. L'elemento più toccante, però, è la perpetua raffigurazione di sé come fool, un buffone capitato per sbaglio in un mondo che riesce a divertirsi con lui, ma non ad apprezzare la sua anima. Scrive infatti Nijinsky: "Adesso capisco L'idiota di Dostoevskij perché prendono anche me per idiota. Mi piace che tutti pensino che sono un idiota" e poi in seguito afferma: "amo i buffoni di Shakespeare. Hanno molto humour, ma alle volte si arrabbiano, perciò non sono Dei, io sono un buffone di Dio perciò amo fare il buffone". Fausto Malcovati, nella sua ottima recensione Piange senza rimedio il pazzo di Dio (in "il manifesto", 12 febbraio 2000), riporta queste affermazioni alla figura dello jurodivyi, il folle di Dio, centrale nella cultura popolare russa, ma vi è in esse anche una piena comprensione di quanto l'uomo sia una marionetta tirata da invisibili fili, costretta a eseguire azioni di cui non sempre comprende il senso, e in questo aspetto talvolta il testo intavola misteriose risonanze con il De Profundis di Oscar Wilde.
La sessualità per Nijinsky è un incubo demoniaco; lo ossessionano i ricordi delle frequentazioni con le prostitute a Parigi, della torbida relazione con Diaghilev, e soprattutto la masturbazione, precocemente praticata e di cui spia ossessivamente le tracce nella figlia Kira, che spesso accusa della stessa "colpa"; di frequente assume tratti decisamente negativi anche la descrizione del complesso rapporto con Romola. Pochi sono i momenti di quiete in questa tormentosa discesa, e spesso si tratta delle pagine più commoventi del libro, come quando il danzatore racconta i giochi e i canti dei bambini o rievoca la figura della madre, ma egli è "Dio che muore quando non è amato" e la sua testimonianza narra soprattutto lo sconvolgente confrontarsi di una personalità con un padiglione degli specchi, in cui la sua fisionomia via via distorta in lungo, in largo, nel volto e nel corpo, infine ritrova la sua immagine, ma solo quando ormai è troppo tardi. Dal 1919, anno di esplosione della follia, Nijinsky fu in manicomio quasi per tutta la vita, fino al decesso avvenuto nel 1950; alle pagine del suo diario è affidato un messaggio in bottiglia all'umanità destinato a rimanere inascoltato, e che si pone ai lettori odierni come eccezionale testimonianza di un destino travolgente e disperato.

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