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Il dialogo della salute, scritto nella tradizione di Platone e di Leopardi, è il testo dove Michelstaedter ci ha trasmesso nella forma più limpida la sua visione della vita e della morte. In parallelo e in contrappunto alla Persuasione e la rettorica, ricompaiono qui molti dei suoi grandi temi, e in una forma che sa mantenere, da un capo all’altro, la leggerezza della conversazione e l’icasticità delle formule: «La vita ci toglie: questo che tu dici crudele gioco, questo è la cara la dolce vita. Mancar di tutto sì e tutto desiderare – questa è la vita. Che se non ci volgessimo al futuro ma avessimo tutto nel presente – appunto non vivremmo più. La vita sotto qualunque forma come anche sia, a prezzo di qualunque dolore si vive volentieri». A questo testo, che è del 1910, anno della morte di Michelstaedter, ed essenziale nella geografia della sua opera, si affiancano alcuni altri dialoghi meno conosciuti, come il Dialogo tra Diogene e Napoleone o il Dialogo tra il borghese e il saggio, che sono altrettante schegge preziose del suo pensiero.
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Due ragazzi appena usciti da un cimitero, il teatro della morte calmata, del finito che attende ognuno, due costole d'anima di quella meravigliosa vita che fu il loro autore. I due hanno appena ricevuto un augurio da parte del custode. "Buona salute!". Da qui nasce questo sublime libriccino, platonico in tutta la sua eco più chiara, che attraversa in due voci i terreni della filosofia sensibile, del dubbio, del mancare, fino a un convenire di entrambi sull'ineluttabilità del tutto. Il male, balia attentissima e inflessibile dei nostri giorni, il bene che strappa per difetto una rosa nel giardino del tragico costante, l'impotenza quasi vezzosa di argomenti elevati contro l'oltraggio di una sorte già stabilita. Carlo Michaelstaedter getta in pagine magnifiche gli esiti della sua tragica solitudine; nutrito del Gorgia e del Fedone, di un Socrate adoratissimo, esplora la carenza, l'assenza, quel vivere senza vivere che è condizione inesorabile quando si vuol sfidare il destino coi soli aggeggi della comprensione, pur alta, squisita: "L'albero tagliato è morto - Ma il suo legno è vivo o è morto? - Sarà vivo perché pesa ma ha perso la linfa delle radici per portarla alle fronde. Non è albero. - Ebbene questi sono gli uomini, tronchi recisi e vivi". L'uomo è un ingannato, allettato in cerchi suggestivi, a promesse dorate, ma ogni momento può rivelarsi di colpo una scadenza corta, un'illusione malsana, falsa: "La vita è il debitore insolvente". Ma altri dialoghi si aggiungono a questo, il più intenso e solido nel corpo del libro; l'amore fra Carlo e Nadia (Nadia lo saluterà dicendogli: "vivi e soffri, addio"), fino al finale di un confronto Carlo - Socrate che copre di brividi ogni parola spesa fra i due. Un Socrate muto che ascolta un Carlo che lo subissa di domande, al punto che alla fine il poeta dirà: "La vita non ha altro scopo se non la vita stessa".Debito e rimando Leopardiano di grandiosa riuscita, un'opera di poesia figlia di un uomo che fu e rimarrà un miracolo.
Recensioni
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MICHELSTAEDTER, CARLO, Il dialogo della salute e altri dialoghi, Adelphi, 1988
MICHELSTAEDTER, CARLO, Il dialogo della salute, Agalev, 1988
recensione di Arbo, A., L'Indice 1989, n. 2
Stesi con una rapidità e una schiettezza che non lasciano trasparire, nella maggior parte dei casi, un reale intento di pubblicazione, gli scritti di Carlo Michelstaedter non dovettero attendere molto per varcare la soglia della solitaria e polverosa soffitta goriziana in cui, in larga misura, vennero concepiti. Da poco più di un decennio tuttavia il lungo e labirintico itinerario editoriale cui essi - più di settant'anni fa - diedero involontariamente origine, sembra registrare una svolta decisiva, in concomitanza con il cospicuo e crescente interesse rivolto ad un pensiero rimasto per parecchio tempo ai margini delle grandi correnti della filosofia italiana. Non sembra difficile pronosticare quindi per il "Il dialogo della salute" - che sembra prestarsi ad una lettura più agevole rispetto al suo fratello maggiore, "La persuasione e la rettorica" - un successo e una risonanza notevoli. Già pubblicato nel lontano 1912 e successivamente incluso nell'edizione sansoniana delle "Opere" curata, nel 1958, da Gaetano Chiavacci, il dialogo esce in ben due edizioni, apparse questa volta a distanza di soli pochi mesi.
A parte la diversità delle appendici, ovvero i brevi dialoghi e scritti pubblicati assieme al dialogo principale (Agalev: "Il prediletto punto di appoggio della dialettica socratica"; Adelphi: i dialoghi tra Carlo e Nadia, tra Diogene e Napoleone, tra la Cometa e la Terra, tra l'adolescente e l'uomo, tra il borghese e il saggio, tra la folla, l'uomo e il singolo, tra Carlo e Socrate) c'è da rilevare la maggiore precisione filologica del testo curato da Sergio Campailla per Adelphi. Ad un confronto con il manoscritto appare infatti evidente che l'altra edizione (Agalev) - riproducente la versione curata da Gaetano Chiavacci e guidata dall'unico scopo "di mettere in circolazione un testo da trent'anni inedito e fondamentale per la comprensione del pensiero di Carlo Michelstaedter" - oltre a presentare alcune lievi (e se vogliamo insignificanti) omissioni, perde la differenza (meno irrilevante) tra il carattere corsivo (sottolineatura semplice) e le virgolette, unificando in queste ultime (non sempre tra l'altro) i due criteri di evidenziazione. Previa questa precisazione, veniamo ad esporre i contenuti del dialogo, quali emergono comunque da entrambe le edizioni.
La vita e la morte, luoghi comuni ricorrenti in molte parentesi retoriche del discorso quotidiano, si offrono subito, per bocca di Nino e di Rico - due personaggi che Michelstaedter volle estrarre esattamente dalla propria quotidianità goriziana -, come i temi centrali di una meditazione intrapresa all'uscita di un cimitero. Se non c'è mezzo che possa salvarci dalla morte, si chiede Nino, cosa contano la salute e la malattia? Una morale schietta si presta a risolvere ottimisticamente l'interrogativo: "No: va meglio coglier l'attimo che fugge, sani o malati, e fuggire con lui, quando che voglia il caso". Ma al di sotto di questa soluzione pur condivisa dai due amici, si annida un nodo di problematiche che Rico, esercitando sull'amico quell'antica arte socratica capace di condurre per mano alla verità, si propone pazientemente di sciogliere.
Una prima immagine sembra fornirci la chiave della comprensione di questa maieutica, quella dell'acqua. In ogni momento, in ogni attimo della sua discesa - nota Rico parafrasando il noto esempio del peso con cui si apre la "Persuasione" - l'acqua può essere immaginata ferma, come contratta, bloccata in un'istantanea in grado di esprimerne tutta l'energia potenziale. Da questo punto di vista essa ci apparirà gravida di "un infinito desiderio del più basso". Ma allo stesso modo è l'essenza del nostro bisogno che si configura come liqueiforme, priva di consistenza, traducente un'insaziabile volontà di scivolare sulle cose, di bagnarle con la sete del più basso. L'argomentazione di Rico finisce per trasformarsi in una severa critica agli pseudovalori di quella che in altri luoghi Michelstaedter non esitò a definire come la "comunella dei malvagi", decostruendo passo a passo i piaceri del corpo, il sublimato piacere intellettuale, il falso amore borghese di chi ama solo perché ha bisogno d'essere amato. Una risoluta critica della società, insomma, di quell'incredibile mostro tentacolare identificato nell'immagine provocatoria di un'enorme cambiale, simbolo di una promessa che continua a spostare il suo adempimento in un futuro talmente prossimo da non riuscire mai a tradursi in presente, un meccanismo burocratico che continua a "cigolare" senza riuscire a distruggersi, poiché "è questo il suo modo di essere".
In quale direzione sarà dunque necessario puntare per sfuggire alle maglie di questo terribile leviatano? Facile e immediata sembra offrirsi una prima soluzione: la morte, la semplice interruzione di ogni falsa catena di rimandi sociali decisa dall'altezza morale di un unico assoluto gesto suicida. Un "suicidio metafisico", analogo a quello che poco più tardi Papini riconoscerà nel tragico epilogo di una vita bruciata troppo rapidamente. Della vacuità di questo rimedio Michelstaedter si accorge già nella prima stesura della conclusione del dialogo (pubblicata in entrambe le edizioni), là dove rileva, attraverso le parole di Rico, che "dell'assenza del bisogno si può aver piacere solo avendone coscienza". La contraddizione del suicidio è palese: annientando la coscienza di se stessi si elimina necessariamente ogni sensazione di felicità connessa all'assenza del bisogno.
Un'altra via meno oscura ma ben più profonda e impervia si delinea nella seconda stesura della conclusione. Se la morte non può costituire una soluzione reale al perenne stato di insufficienza di un'esistenza malata, allora l'unica medicina in grado di riconferire la salute va ricercata dentro a se stessi, nel proprio vivere, nel venire "a ferri corti con la vita". E qui la voce di Michelstaedter si trasforma in un sincero, disperato, autentico giudizio morale: la salute, la vera salute è quella dell'animo di colui che di fronte alle seduzioni della vita sociale "consiste", ovvero resiste, persiste sulla base delle irremovibili istanze di una coscienza che lo costringe a obiettare, a disobbedire alla logica del sistema. "Consiste", in virtù di una fermezza che è l'esatto contrario della liquefazione, che "rende gli altri fermi", testimoniando la sopravvivenza, l'urgenza di un messaggio che Socrate e Cristo dettarono prima del sopravanzare di qualunque dottrina, privandosi coraggiosamente dei sotterfugi della retorica e testimoniando con l'esempio la necessità di affrontare, di aggredire gioiosamente la vita.
Su questa base devono essere letti anche i frammenti dialogici inclusi nell'edizione Adelphi, i quali presentano, come osserva Campailla, "uno specifico interesse documentario e configurano, nel complesso, l'attitudine dell'autore per un genere letterario". Spicca senz'altro, tra gli altri, il breve "Incontro cosmico", dialogo tra una cometa e la terra scritto nel maggio del 1910 in occasione del passaggio della cometa di Halley (già pubblicato su "La Ronda" nel 1922). Rapida e leggera la cometa michelstaedteriana pronuncia la sua massima, schernendo la rigidità burocratica dell'orbita terrestre: "Meglio non guardare dove si va che andare solo fin dove si vede". Ancora un suggerimento di disobbedienza, di ribellione, di rifiuto delle convenzioni. Con l'asse ricurvo, destinata a "fare la corte al sole" la terra resterà incapace di concepire quell'orbita lungimirante, ai limiti della parabola. Ma è proprio in quella estrema eccentricità, in quel rischio parabolico, nel pericolo di uno spostamento al limite che potrebbe anche trasformarsi in un cammino senza ritorno che Michelstaedter ci suggerisce di indagare il più autentico vettore di fuga dalla sicura ma vuota circolarità del nostro sistema solare.
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