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E' un libro bellissimo nel suo essere inquietante e macabro. Non ci sono giri di parole e tutto viene raccontato in modo chiaro. Molte volte, durante la lettura del capitolo sull'assalto dell'isolo Utoya, mi son dovuto fermare e prendere fiato perchè il razzismo di Brevik, in quei 60 minuti dove fu in grado di uccidere 69 ragazzi, è al parossismo. Ci sono molte defezioni delle forze di polizia norvegesi; il bigliettino che diceva di una chiamata del fioraio che vide Brevik fuggire via dal luogo dell'esplosione rimase li, sulla scrivania del commissariato di Oslo, senza che nessuno lo leggesse, dando via libera all'altra strage che sarebbe accaduta da li a poco. C'è l'inquietante descrizioni della vita, banale, di Brevik. Uno di noi, appunto, uno che avremmo potuto incontrare sul pianerottolo o nel reparto di un supermercato. E' un gran libro e mi chiedo perchè non abbia avuto la giusta attenzione.
Bel libro! Mi ricorda un po' il modo di scrivere di oriana fallaci!
Recensioni
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Dalla penna di una grande reporter norvegese, il resoconto della strage dell’isola di Utoya. La biografia di un killer spietato, ma anche un importante strumento di riflessione sul tema dell’integralismo.
Sin dalle prime pagine, un dettagliato resoconto dell'esecuzione a bruciapelo di undici ragazzini sul «Sentiero degli amanti» dell'isola di Utoya, l’idea strisciante è quella di chiudere il libro e non riaprirlo mai più.
Sarà questo effetto di crudeltà straniante ad aver condizionato gli editori di casa nostra? “One uf Us. The Story of Anders Breivik and the Massacre in Norway” è rimasto a lungo inedito in Italia. La storia dell'assassino Anders Breivik, auto-proclamatosi Cavaliere difensore dell'Occidente, e della strage costata la vita a 77 persone, tra cui 69 militanti del partito laburista, quasi tutti tra i 14 e i 20 anni, odiati in quanto «culturalmente marxisti», ha realmente rischiato di non vedere mai la luce sugli scaffali delle nostre librerie, ed il tema in effetti, oltre ad essere ancora caldo, è davvero difficile.
L’autrice norvegese Åsne Seierstad, giornalista e autrice del bestseller Il libraio di Kabul, esce dall’impasse utilizzando il freddo metodo giornalistico: mette in fila i fatti senza offrire il proprio punto di vista, creando un reportage letterario tremendamente oggettivo, eticamente inoppugnabile. Il rischio di trasformare il protagonista in un eroe, passibile di emulazione, in questo caso non esiste.
Sin dall’infanzia Anders Breivik, nato a Oslo nel 1979, vive ai margini della società. Il padre, un importante funzionario dell’ambasciata inglese, lo abbandona dopo pochi mesi di vita. La madre è una donna bella e altera, ma psicologicamente instabile e incapace di qualsiasi sentimento. Non riuscendo a trovare una struttura che si possa occupare dei suoi figli, che pur vorrebbe abbandonare, la donna li affida temporaneamente ai servizi sociali norvegesi, che comprendono sin da subito il potenziale rischio che si annida tra le quattro mura domestiche. L’adolescenza però sarà la vera palestra del killer. Breivik cerca di trovare una comunità che possa accettarlo e ci prova inutilmente prima con le gang di graffitari e poi con “Fremskrittpartiet”, il partito politico anti-immigrazione e anti-tasse, dal quale viene messo ai margini perché inadeguato.
La diretta conseguenza sarà l’isolamento: Breivik si chiuderà in casa per anni, a giocare anche 18 ore al giorno con World of Warcraft, un gioco di ruolo fantasy in cui pare si sia fatto un nome come guerriero. Solo dopo aver fallito anche con una loggia massonica, Breivic darà inizio al suo periodo di indottrinamento e radicalizzazione, da autodidatta attraverso il web.
Alla stessa stregua dell’integralista della porta accanto, ma in maniera speculare, Breivik è ossessionato dall’islamizzazione dell'Europa. Scrive un manifesto di oltre 1500 pagine sul destino del Vecchio continente in cui incita alla rivoluzione e poi, senza dare alcun segnale, passa all’azione.
Il primo ordigno esplode a Oslo il 22 luglio 2011 sotto l'ufficio del primo ministro Jens Stoltenberg. Le vittime sono otto. A quel punto Breivik parte per l’isola di Utoya dove è in corso il campus estivo dell'Auf, l'organizzazione dei giovani laburisti. Prima dell’intervento delle forze dell’ordine, Breivik rimane indisturbato sull'isola per oltre sessanta minuti. È una carneficina: 69 morti, perlopiù giovanissimi.
Al processo, celebrato poco dopo, riecheggia una sola domanda: Breivik è capace di intendere e di volere? La risposta, secondo gli psicologi, è sì. Nella civilissima Norvegia, dove il sistema carcerario è davvero riabilitativo e non punitivo, il massimo della pena che si può commutare sono 21 anni.
Avvelenato da un clima tossico, Breivik in queste pagine viene presentato non come una vittima, ma come il prodotto dei nostri tempi, in cui la paura dell’imminente caduta della nostra civiltà può portare alcuni soggetti pericolosi a compiere azioni eclatanti di questo tipo. È per questo che “Uno di noi” non è semplicemente la biografia di un killer, o il resoconto romanzato di un giorno di follia a Oslo, ma è un grande strumento di riflessione sul tema dell’integralismo culturale e dell’identità europea.
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