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Dopo aver dedicato studi e ricerche ad alcuni periodi cruciali della storia postunitaria (dal trasformismo di Agostino Depretis al fascismo, all'età giolittiana e alla politica estera degli anni venti), e aver scritto una sintesi rigorosa e fortunata della storia d'Italia dall'unità agli anni settanta del Novecento, Giampiero Carocci ha deciso di ripercorrere l'itinerario del nostro paese dall'unificazione nazionale alla vittoria della destra berlusconiana - quasi centocinquant'anni di storia - ricostruendo il ruolo e le politiche della destra e della sinistra. Già nei lavori precedenti Carocci aveva mostrato le qualità dello storico di razza: l'intuito necessario a cogliere i momenti e le svolte decisive all'interno della storia di lungo periodo, e insieme la capacità di estrarre dalla documentazione archivistica e bibliografica, così come dai documenti pubblici e privati, gli elementi necessari per interpretare in maniera acuta e penetrante le motivazioni che spingevano l'uno o l'altro personaggio ad agire in un modo o nell'altro. I sintetici ritratti dedicati nei suoi libri a uomini come Depretis o Giolitti, Fanfani o Moro, testimoniano queste qualità, insieme a un distacco sempre più pronunciato di fronte alle vicende del passato, anche assai recente, che dà una lucidità particolare ai giudizi.
Entrando nel merito dell'interpretazione presente in questo volume, è possibile cogliere gli elementi decisivi dell'analisi di Carocci, che insiste, a ragione, sull'assenza in Italia, dopo i primi quindici anni del regno, di una destra conservatrice in grado di fare adeguatamente propri quei valori legati al senso dello stato e alla difesa dei diritti individuali di libertà che hanno consentito in altri paesi alle forze che si richiamano alla destra di svolgere una funzione storica centrale. L'autore ben sintetizza l'età liberale, l'azione di Crispi e di Giolitti, le ragioni del crollo di fronte al fascismo, e scorge già in questo periodo una caratteristica che riemergerà negli anni repubblicani: politiche di destra applicate da esponenti della sinistra, uomini di destra che svolgono politiche almeno in parte di sinistra e una tendenza a continuare lungo la strada inaugurata dal "connubio" di Cavour e poi proseguita dal trasformismo di Depretis e della sinistra storica.
Di particolare interesse sono proprio le pagine dedicate all'età crispina e quindi al decennio giolittiano, giacché Carocci dimostra in modo convincente la difficoltà che si ha, sul piano storico, ad affrontare l'azione di Crispi, proveniente dalla sinistra, e che pur praticò più di una volta metodi autoritari, e, nello stesso tempo, la complessità dell'azione riformatrice di Giolitti, che, in una prima fase, aprì nettamente a sinistra e successivamente condusse una politica che ebbe tratti appartenenti alla destra.
La parte centrale del volume è dedicata al fascismo, all'antifascismo e alla Resistenza. Qui ci sono accenti nuovi che consentono al lettore di cogliere un elemento spesso poco presente nelle storie d'Italia anche recenti. Carocci sottolinea infatti la crucialità del ventennio fascista e dell'opposizione ad esso nella nostra storia, e mette in luce come l'Italia repubblicana nasca dalla funzione decisiva che uomini e correnti dell'antifascismo ebbero negli anni quaranta dal punto di vista delle idee e della cultura che seppero contrapporre alla dittatura.
"Sotto il profilo politico - osserva Carocci - la Resistenza è stata parte fondamentale di un processo storico in forza del quale dopo il 1945 si è imposta e istituzionalizzata quella rivoluzione democratica che nel 1919-20 era apparsa fugacemente per venire poi travolta dal fascismo. È da notare che entrambe le rivoluzioni democratiche poterono delinearsi nel 1919-20 e realizzarsi dopo il 1945 perché nelle masse che nel 1919-20 avevano seguito il Partito Socialista e in quelle che avevano partecipato con maggior determinazione alla Resistenza c'era stata la convinzione di lottare per esiti socialisti".
Sul periodo repubblicano le osservazioni di Carocci sono altrettanto lucide e penetranti. In particolare, l'autore individua, dopo l'esperimento di centro sinistra e il suo parziale fallimento, una spinta verso destra che inizia già negli anni settanta con l'esplodere dei terrorismi e la ristrutturazione industriale, ma che si esprime con grande evidenza negli anni ottanta, dopo la fine dell'unità nazionale di Moro e Berlinguer e l'affermazione del pentapartito a guida socialista. "Durante gli anni ottanta - scrive Carocci - si fece univoca nella società la spinta verso destra, la negazione dei valori collettivi, il ripiegamento in un 'privato' sentito come antagonista del 'pubblico', l'affermazione straripante dei valori indirizzati all'individualismo, all'acquisizione, all'autoaffermazione".
È caratteristica insomma di quel periodo l'affermarsi di un modello culturale destinato a influenzare il nostro paese anche nel decennio successivo. Da questa analisi, oltre all'assenza di un partito conservatore in grado di svolgere una funzione positiva, emerge del resto anche la complementare difficoltà della sinistra di svolgere adeguatamente un ruolo alternativo, nonché la tendenza ricorrente a oscillare tra uno sterile massimalismo e un riformismo debole.
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