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La contemplazione della bellezza, unica possibilità per l'uomo di avvicinarsi al concetto di assoluto e, quindi, di divino. E' questo il presupposto intorno al quale si dipana la metamorfosi dell'intellettuale e scrittore di successo Aschenbach, perdutamente innammoratosi del giovanetto Tadzio, incontrato durante un soggiorno Veneziano. Una città malata e in disfacimento fa da contorno esplicitamente metaforico, ad un percorso che tra dannazione e beatitudine porta l'attempato artista a confrontarsi e scontrarsi con tutti quelli che sono stati, fino a quel momento, i suoi punti fermi e le sue convinzioni. Questa rivoluzione in un certo senso attesa e covata per tutta la sua integerrima e metodica esistenza, si concluderà con un epilogo fin troppo annunciato. Forse un epilogo auspicato e deliberatamente provocato dalle scelte dello stesso personaggio che lo avrà inconsciamente ritenuto come l'unico possibile. Imperdibile.
Dopo un' attenta rilettura dell' opera, ho deciso di ritrattare la mia goffa e pedestre recensione del 7-7-05. A mia "discolpa", posso dire che solo l' amore e il rispetto per il Mann del "Doktor Faustus", di "Mario e il mago" e di "Disordine e dolore precoce" (quale sincera e spassionata moralità nel Mann di questi capolavori , nei quali , a differenza de "la morte a Venezia" , lo scrittore evita attentamente di immedesimarsi nel complesso personaggio/archetipo dell' esteta corrotto e innamorato della caducità delle cose!) mi abbia spinto a criticare il Mann (effettivamente ambiguo) del romanzo breve in questione. D' altra parte, pur cominciando a intravedere la sensualità di quest' "unicum" manniano, e a interpretare l' opera di per se stessa, senza forzatamente confrontarla con gli scritti del Mann borghese, forte della sua decisa coscienza politica e privo degli appetiti sessuali che, in una sorta di transfert, attribuisce al suo Aschenbach, non posso negare che lo STILE di Tod in Venedig sia a tratti accademico, inerte e spesso crei , al fine di richiamare un' atmosfera di decadenza, metafore e simbolismi obsoleti e spesso fin troppo evidenti. Altri romanzi (l' immoralista, Andrè Gide; Sodoma e Gomorra, Marcel Proust) , con una forza e un impatto creativo ben più sinceri che in quell’ opera , certo non scevra di sovrastrutture stilistiche e letterarie- un esempio per tutti, le frequenti citazioni platoniche- riescono certo ad essere più nervosamente veritieri, inquietamente naturali nel trattare gli stessi temi de "la morte a Venezia". Quanto alle vostre critiche, comprendo che possano essere state a fin di bene, ma di certo io non perdono l’ arroganza con cui alcuni sedicenti “eletti” (per la cronaca, dal 1945 di prescelti e paccottiglia nicciana non abbiamo più bisogno) mi hanno voluto privare del diritto di esprimere la mia –allora, lo ammetto, errata- opinione.
all' incredibile 1/5 ricordo che l' unica maschera che Aschenbach ha indossato è quella della moralità, dalla quale inevitabilmente è scaturita la sua autentica passione...solo gli eletti squarciano il velo di Maya...
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