Indice
Le prime pagine del libro
C’era qualcosa di profetico nella tempesta che si scatenò la notte in cui nacque Julia.
Maggio non era un periodo di violente bufere, ma il clima della Cornovaglia era capriccioso come un bambino. La primavera era stata piuttosto mite, come l’estate e l’inverno che l’avevano preceduta; il tempo era buono e piacevole, e la terra già carica di verde. E poi maggio all’improvviso si era riempito di vento e piogge che avevano ferito la vegetazione appena sbocciata, e il fieno si piegava come in cerca di un sostegno.
La notte del quindici, Demelza cominciò a sentire i primi dolori, ma per un po’ si aggrappò alla testata del letto e rifletté attentamente sulla questione prima di dire alcunché. Per mesi aveva atteso quella prova con calma e filosofia, senza mai disturbare Ross con falsi allarmi, e non aveva alcuna intenzione di iniziare proprio adesso. Quella sera era stata fuori, nel suo amato giardino, a scavare intorno alle piante più giovani; poi, mentre le ombre avanzavano, aveva trovato un riccio imbronciato, aveva giocato con lui cercando di convincerlo a mangiare un po’ di pane e latte, ed era rientrata solo quando il cielo si era coperto di nubi e aveva cominciato a fare freddo.
Forse si era semplicemente stancata troppo, forse era questa la causa del dolore.
Quando si sentì come se qualcuno le stesse schiacciando la spina dorsale con un ginocchio, capì tuttavia che il motivo era un altro.
Posò la mano sul braccio di Ross e lui si svegliò subito.
«Sì?»
«Penso… penso che dovresti andare a chiamare Prudie.»
Lui si tirò su a sedere. «Perché? Cosa c’è?»
«Ho male.»
«Dove? Vuoi dire…»
«Ho male» ripeté lei senza scomporsi. «Credo sia il caso di andare a chiamare Prudie.»
Ross si alzò rapidamente dal letto e lei rimase ad ascoltare il raschiare ruvido della selce sull’acciaio. Dopo un attimo, lo stoppaccio prese, e lui accese una candela. Nella luce tremolante, la stanza si rivelò: le pesanti travi di tek, la tenda davanti alla porta che ondeggiava appena sospinta dalla brezza, la bassa panca sotto la finestra coperta di gros-grain rosa, le sue scarpe lì dove le aveva abbandonate, una delle due capovolta, il cannocchiale di Joshua, la pipa e il libro di Ross, una mosca che zampettava qua e là.
Lui guardò Demelza e capì all’istante. Lei gli sorrise, pallida, come per scusarsi. Ross andò al tavolo accanto alla porta e le versò un bicchiere di brandy.
«Bevi questo. Mando Jud a chiamare il dottor Choake.» Cominciò a vestirsi.
«No, no, Ross, non ancora. È notte fonda. Starà dormendo.»
Da settimane erano in disaccordo sull’opportunità di interpellare o meno Thomas Choake. Demelza non riusciva a non pensare che, appena dodici mesi prima, era ancora solo una domestica, che Choake, benché fosse solo un dottore, era il proprietario di una piccola tenuta acquistata con i soldi della moglie, e che il suo livello sociale gli consentiva di considerare persone come lei beni di poco conto. Ma poi aveva sposato Ross e la sua posizione era cambiata. Sapeva di essere in grado di ostentare raffinatezza e buone maniere, e ci riusciva piuttosto bene; ma con un dottore la questione era diversa. Con un dottore ci si trovava sempre in una condizione di svantaggio. Se il dolore fosse diventato troppo forte, quasi certamente si sarebbe messa a imprecare alla vecchia maniera, come aveva imparato da suo padre, e non si sarebbe limitata a qualche garbato “accidenti” o “per Dio”, che chiunque avrebbe perdonato a una signora in difficoltà.
Partorire e conservare al contempo modi gentili era più di quanto si sentisse in grado di affrontare.
Per non parlare del fatto che avrebbe preferito non avere uomini intorno. Non sarebbe stato decoroso. Sua cugina acquisita Elizabeth aveva partorito in presenza del dottore, ma era pur sempre un’aristocratica e gli aristocratici vedevano le cose in modo diverso. Lei avrebbe di gran lunga preferito farsi aiutare dalla vecchia Betsy Triggs di Mellin, che vendeva sardine e aveva mani forti quando si trattava di far nascere bambini.
Tuttavia Ross si dimostrò più determinato e la spuntò. Demelza non rimase più di tanto sorpresa nel sentirlo rispondere: «E allora lo sveglieremo» mentre lasciava la stanza.
«Ross!» lo chiamò. In quel momento il dolore era scomparso.
«Sì?» Il volto di lui, forte, intenso e segnato dalla cicatrice, illuminato per metà dalla candela; i capelli scuri, folti e spettinati che mostravano a malapena la loro sfumatura color rame; la camicia aperta sul collo. Un uomo… così aristocratico, pensò Demelza, riservato e irraggiungibile, con cui aveva condiviso una rara intimità.
«Un bacio? Prima di andare…» disse.