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Difficile trovare, nel Novecento francese, una figura più ambigua e sfuggente di Maurice Sachs. Nato nel 1906 (ma pare che si ringiovanisse) da una famiglia dell'alta borghesia ebraica, frequentò tra il 1918 e il 1928 gli ambienti della bohème pittorica e musicale, visse all'ombra di Cocteau e inscenò un'improbabile conversione al cattolicesimo con tanto di soggiorno in seminario benedetto da Maritain. All'inizio degli anni trenta - ai quali risale la stesura di questo volume - emigrò negli Stati Uniti, dove, come cronista radiofonico e giornalista, fece conoscere agli americani la vita artistica francese. La sua ultima incarnazione ebbe per sfondo la sinistra e frenetica mondanità della Parigi occupata dai nazisti; ne fu anzi uno dei protagonisti, prima di svanire misteriosamente, dopo avere svolto il ruolo di spia della Gestapo, in un lager in Germania. La decade dell'illusione è un'evocazione, ad uso del pubblico statunitense, della Parigi degli anni venti, dove esplodevano cubismo e surrealismo e dove tutto subiva un accelerato processo di rinnovamento, musica e teatro, danza e moda, pittura e filosofia. Affabulando con la sua consueta sfrontatezza di memorialista mitomane, millantando amicizie spesso immaginarie, Sachs alterna i più scontati luoghi comuni a quadretti folgoranti e indimenticabili: dall'opprimente villa di Gide, con l'atrio ingombro di valige, alle luminose tappezzerie di velluto bianco del fastoso palazzo di Coco Chanel; dal disordine prestigioso della camera di Cocteau a quello miserabile dell'eremitaggio di Satie, dall'appartamento di Julien Green in stile rigorosamente bostoniano ai vivacissimi caffè della nascente Montparnasse.
Mariolina Bertini
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