“David Bowie. Il divino alchimista” è una biografia assolutamente atipica, perché prende le mosse dalla tradizione aneddotica che accompagna sin dall’antichità le vite di personaggi straordinari, ovvero la cosiddetta Leggenda dell’Artista. In essa ricorrono alcuni fattori diventati nel tempo dei veri e propri topos narrativi: l’estrazione sociale di umile origine, la formazione autodidatta, l’incontro con straordinari Magister (L. Kemp, W. Burroughs), le tecniche misteriose utilizzate (abiti sacri, cut-up, tarocchi). La biografia approfondisce anche uno dei temi cari a Bowie: la ricerca di spiritualità. Una sete di conoscenza, a tratti ossessiva, che lo spinge a mostrare interesse, fino alla fine della sua vita, per le dottrine esoteriche più estreme. Molte le tracce di questa fascinazione per l’occulto: il dito sulla bocca che invita al silenzio arpocratico; le braccia incrociate sul petto simbolo di Osiride risorto. Ma la ricerca spirituale di Bowie si lega a doppio filo con la sua personale fabbrica dei personaggi, che ha molto a che vedere con il processo alchemico di trasformazione spirituale del proprio io. L’immaginazione bowiana diviene il dispositivo per la proiezione delle manifestazioni inconsce universali. Con il ricorso alla mitizzazione della sua figura attraverso l’archetipo del dio che muore e rinasce, Bowie ci svela il mistero legato alla finzione letteraria dei suoi alter ego (Ziggy Stardust, il messaggero del messia alieno; l’extraterrestre Newton caduto sulla Terra in cerca di acqua per salvare il suo popolo; il cabalistico Duca bianco alla ricerca del Graal; il Minotauro di 1.OUTSIDE; Button Eyes di Blackstar e Lazarus, il risorto). Profeta di se stesso, Bowie si è definito con ironia un Dio del rock: mai affermazione è stata così ermeticamente veritiera.
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