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Marconcini mette in evidenza che Daniele è un Libro biblico del tutto particolare: non è specificamente profetico se non in senso letterario, non è sapienziale anche se dai libri sapienziali prende molti spunti e non è storico anche se si riferisce a eventi che si stendono nell'arco di quattro secoli, dall'esilio babilonese mentre illustra il tempo di Antioco IV nel secondo secolo A.C. L'opera su Daniele si suddivide in tre pari: la prima, molto bella e dettagliata, stende uno sguardo su tutti i capitoli da una prospettiva teologica; la seconda affronta questioni filologiche, quali il genere letterario, la formazione del testo; nell'ultima enuclea i temi principali in una prospettiva cristiana. Per l'autore è preferibile isolare il cap. 1 come introduzione, i cc. 1-6 sono i racconti di Daniele in cui il giudeo nell'esilio in virtù della sua sapienza riesce a risolvere enigmi e sogni fino a diventare amico del re (come Giuseppe in Genesi), i cc. 7-12 sono le cosiddette visioni, in cui occorre ben distinguere escatologia e apocalisse, mentre il 13 e 14 sono nuovamente racconti. Quel che più mi ha interessato nella lettura di questo commento è la distinzione tra escatologia e apocalittica. La prima tratta del fine della storia, ma di un fine che resta nella storia e non la trascende se non come termine ultimo, ma pur sempre dentro la storia, mentre l'apocalittica tratta della fine della storia per una trascendenza in cui si ha un salto qualitativo di redenzione nel Regno. Il Regno è mistero, verrà certamente, è universale, eterno, convivono in esso libertà e giustizia. Sarà consegnato al Figlio dell'Uomo e soltanto i pii ne faranno parte per sempre. Siamo a un passo dal Cristianesimo. Il libro affronta anche altre tematiche, qual è il senso apocalittico ebraico da quello cristiano, quali e quanti sono le composizione apocalittiche dei profeti maggiori e minori e l'attualità del genere apocalittico, mai come oggi così viva. Libro molto bello e esaustivo.
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