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Il titolo di questo bel lavoro è tratto da un libro del 1931 (Nel vento e nel fango) di Ugo Fischetti, osservatore e poi pilota aeronautico; libro in cui, annota Caffarena, "l'esperienza bellica assume valore catartico e conduce all'elevazione morale". L'autore lo usa come metafora del complesso dispositivo di fascinazione, speranze, proiezioni, drammi e illusioni che, assieme alla concretissima esperienza di chi riuscì ad abbandonare o a evitare le trincee librandosi nei cieli perigliosi del primo conflitto mondiale, si coagularono attorno al mezzo aereo negli anni a cavallo della Grande guerra. Studioso di quest'ultima, Caffarena ne fa il perno di una serrata ricostruzione in tre capitoli, che, grazie a una suggestiva trama narrativa e a una splendida serie di immagini felicemente incorporate nel testo, trascorrono dalle "attrazioni alate" della "civiltà delle macchine" del primo decennio del Novecento alla "ri-generazione del mito aviatorio" dell'immediato dopoguerra. Sino a lambire il fascismo, sul cui sforzo di costruire una "coscienza nazionale aviatoria" aveva appuntato di recente l'attenzione lo studioso parigino Erich Lehmann (Le ali del potere. La propaganda aeronautica nell'Italia fascista, Utet, 2010), osservando come "dal punto di vista sociologico, gli aviatori interventisti si distinguevano spesso per la loro modesta condizione sociale". Forte dell'esame di oltre 7500 fascicoli personali custoditi a Roma presso l'Ufficio storico dell'aeronautica, Caffarena guarda con dovizia di informazioni dentro la scatola nera delle opportunità, se non di mobilità sociale, comunque di realizzazione personale (e di fuga "dal fango"), dei tanti osservatori e piloti con un pedigree meno nobile e vertiginoso di quello dei Baracca o dei D'Annunzio.
Ne emergono squarci inediti su "una componente essenziale della modernità bellica" la "cui portata osserva Caffarena non può essere limitata al fattore tecnico, all'apparizione degli aeroplani sui campi di battaglia". Essa va invece esplorata "nelle innovative modalità di arruolamento del personale di volo selezionato attraverso l'applicazione di criteri psicofisici e attitudinali standardizzati" (vi è coinvolto l'immancabile Agostino Gemelli), nella "messa in scena della guerra-spettacolo", o nell'emersione di un tipo di "eroe popolare dotato di non comuni abilità tecniche e virtù morali (coraggio, lealtà, amor di patria) (
) che si sente a proprio agio anche sulle copertine delle riviste del nuovo sport bellico-aviatorio". Ma anche di figure umbratili come Giuseppe Massaferro da Finalborgo (Savona), il "giovane contadino volante" che, finita la guerra, torna a fare l'agricoltore e da allora "eviterà di parlare della sua esperienza di pilota troncando la curiosità dei parenti con pochi e fugaci commenti". Mediante un intelligente lavoro di scavo, Massaferro è così restituito all'ordito del "mito aviatorio"; mito del quale, conclude l'autore, si possono oggi intravvedere "tracce involontarie (
) perfino nei nuovi spazi d'immaginario popolare definiti dalle pagine di un diffuso periodico dedicato alla forma fisica maschile, dove il comandante delle Frecce Tricolori posa in tenuta di volo davanti al suo aereo".
Ferdinando Fasce
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