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Anno edizione: 2009
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A me questo libro è piaciuto tantissimo, è scritto bene ed è molto divertente: alcuni capitoli fanno proprio ridere con le lacrime (Torvaianica, la puntata dallo Zozzone a Nazzano, la cena a Talenti ecc.). Insomma, un libro che ti dà una idea efficace delle periferie romane, anche quelle meno conosciute, però senza mai annoiare il lettore, anzi divertendolo molto.
Le periferie di Roma, attraverso le quali Andrea Carraro, in veste di reporter, ci conduce nel suo recente libro (Da Roma a Roma. Viaggio nelle periferie della capitale, Ediesse 2009) evocano subito P. P. Pasolini, il cantore delle borgate romane. Ma dagli anni di Pasolini tutto è cambiato: non più casupole, orti, strade sterrate, marane, tricicli e carretti degli stracciaroli, non più botteghe di artigiani, né biciclette, né quell’umanità così disperata sulla quale è ormai passato il rullo compressore di un’omologazione di atteggiamenti, di costumi, di aspirazioni, che sta trasformando tutto e tutti in un’indifferenziata melma urbana. Nelle periferie, un tempo sinonimo di emarginazione urbana, ora – come le descrive Carraro – sono sorti enormi centri commerciali dalle luci sfavillanti, palazzoni, sale di videogame, discoteche, mercati coperti, palestre, ristoranti cinesi e multietnici, ma anche chiese, “cuori pulsanti dei quartieri”. Tuttavia non è scomparso il degrado “a volte sopportabile alla vista”, altre volte inimmaginabile perché a Roma, la città abusiva per eccellenza, mancano ancora in molte zone servizi e adeguati mezzi di trasporto, palazzoni di dieci piani incombono uno di fila all’altro sui margini di strade sempre intasate di traffico e affogate dallo smog, e spesso cumuli di immondizie o di motorini abbandonati sono disseminate lungo le strade o nelle scarpate; dove un tempo c’erano prati ora si allineano capannoni di lamiere, depositi di materiali edili, o di rottami, spiazzi cementificati divenuti parcheggi disordinati di automobili. Con lo sguardo a 360 gradi, Carraro ci conduce attraverso questi scenari con la sua prosa asciutta, tra descrittiva e narrativa, potata dai rami superflui della retorica e del moralismo. Pur essendo attratto dalla gente che popola questi luoghi topograficamente e antropologicamente interessanti per scrittori e sociologi, l’A. li racconta senza eccessivo compiacimento, quasi con distacco.
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