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Velvet Afri fa poesia mondiale e non vi troverà sorpresi la sua mirabile scelta trilinguista. Il mondo è immiserito e omologato, e richiede dunque più che mai suoni (perché le parole innanzitutto sono suoni) in grado di rendere le infinite sfumature del dolore, del provare l'assenzio - lo stato d'animo da cui muove tutta questa raccolta. Si parte liquidi, francofoni, e i versi dicono dolce oblio, sogni interminabili. Aleggia un senso di sconfitta docile, pare ci si arrenda, morbidi, all'assoluto: l'uomo finirà comunque sotto terra. Con l'inglese arrivano subito spade, linee rette, parole potenti estreme e taglienti. La tensione qui si fa lacerante, qualcosa di diverso deve per forza accadere. Accade quando arriva l'italiano: non più titoli ai componimenti ma un corpo unico in forma di canzoni che si snoda attraverso compiti del tutto morali, ricerche di Verità. Quando termina, con una modernissima visione/invocazione del Divino, ci si accorge che in poche pagine l'autrice ha cantato tutto ciò che di essenziale ha trovato scrutando con occhi capaci un pianeta da tempo perso nel buio.
Recensioni
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Nel volume le amarezze della vita si sviluppano in una espressione lirica dai toni forti e le poesie suggeriscono l'idea di pensieri che si rincorrono, si confrontano e si fondono in un unico grande messaggio: l'uomo è schiavo del dolore. E sono sempre i simboli del dolore ad emergere: la sofferenza, le lacrime, il sangue, la morte. Il discorso poetico, tuttavia, non si abbandona al fatalismo. Più ci si immerge nella lettura e si procede nell'analisi delle paure umane, più la veemenza dei versi invita a prendere coscienza delle proprie debolezze, a reagire e a lottare. Un messaggio universale che richiama i valori esistenziali che l'uomo inesorabilmente calpesta.
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