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Quante risposte arrivano tardi, e spesso si adagiano dentro come una somma di verità ancora imprecise, non del tutto chiare all'esattezza di un sentimento e a ciò che davvero spingeva nei desideri, nelle volontà. Ma si finisce per accettarle come la voce più giusta e più vicina alle tante urgenze che pressavano negli anni, irrisolte, volatili, straniere inquietudini brancolanti in una selva senza traguardo. Però anche i luoghi a volte aiutano ad offrire al respiro calme durevoli, il senso di una piccolezza che può scavare quanto vuole nei dedali della vita, ricavandone sterile vento, sorridente lucida rassegnazione. Dal corpo del silenzio, da strane impercettibili luci può arrivare qualcosa, e sono attimi - anche lunghi - in cui il cuore si pacifica. Libretto "svelto" e profondissimo (la gioia si sa pattina frettolosa), preciso e bellissimo nel tessere questo canto. L'Engadina di Nietzsche, di RiIke, laghi e pastelli quasi lievi alle pupille, ma che spaventano come un abbraccio di vastità secolari, misteriose. Una donna e un uomo non più giovani sfiorati dalla fortuna, un viaggio premio proprio lì, su quel suolo fiabesco, in un hotel a picco sulla roccia che mozza il respiro. Cosa accade? Lei indietreggia presto a suoni di infanzia e di abbandono che accarezzano il cuore, lui ancora molto controllato, spaurito, tenta sempre di venire a capo di ciò che sta accadendo, tradurlo con materia di ragione, invano. Capiranno via via che c'è qualcosa che illumina, rilassa e allontana il grigio delle cose in quella potenza di esterni che disorienta e intimorisce di continuo. Un dentro che fa cadere le proprie fronde contorte, che alleggerisce i disagi passati, che ridisegna il tempo capovolgendone ogni stesura. Camenisch si muove su scorci, su quadretti, su movimenti di pagina veloci ma densissimi, perché è quella probabilmente l'unica chiave che apre l'inatteso. Thomas Mann occhieggia fra le righe, che fanno del libro un piccolo gioiello da regalare, e soprattutto da vivere.
Recensioni
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Camenisch, il sostegno reciproco nell’autunno della vita
Esistono diversi generi di suggestioni che ti fanno scegliere le cose, non amarle necessariamente, perché in questo caso interviene un genere di affinità ancor più misterioso, ma sceglierle, che in fondo puoi anche sbagliarti, come un vestito che pensavi ti cadesse a pennello e invece subito dopo averlo indossato ti penti dell’acquisto perché non te lo vedi bene addosso, oppure un sapore, un’ immagine che ti affascina per oscure ragioni, nel caso di un libro la copertina, il titolo forse e suoi infiniti rimandi, strane afferenze e alchimie, spesso inconsce, più spesso culturali. Insomma, nel caso della mia presa in libreria de La Cura (102 pagine, 12 euro) di Arno Camenisch, della piccola, indipendente e attenta alla narrativa contemporanea soprattutto di lingua tedesca e mitteleuropea casa editrice Keller, queste credo abbiamo a che vedere con le diverse personali implicazioni del titolo e del nome dell’autore.
Per quanto concerne questo secondo aspetto quel Camenisch mi rimanda al nome di quel Marco, solo per caso credo anche lui originario del Cantone dei Grigioni come lo scrittore, militante anarchico ed ecologista verso la fine degli anni Novanta, il cui nome si poteva trovare spesso sotto i viadotti degli svincoli autostradali, inneggiando a lui e alle sue lotte, tutte cose sulle quali ho dovuto a suo tempo documentarmi. Sul titolo La Cura, le mie personali suggestioni sono andate a vecchi studi filosofici con l’ineluttabile discesa nella speculazione sull’opera di Martin Heidegger, il quale ha fatto proprio della “Cura”, la modalità di manifestazione dell’“Ente” come “Essere nel tempo”, “Esser-ci”. Questo su una presunta casualità o causalità della scelta, per il fatto che entrato in libreria mi sia caduto l’occhio su questo volume di poche pagine dalla copertina essenziale, ma evidentemente, almeno per me, già ricco di implicazioni e che mi hanno determinato nell’acquisto, implicazioni che sono continuate su altre strade ovviamente a lettura avviata e infine ultimata. Ancora solo a livello di suggestioni dalla Montagna incantata di Mann, al Walser camminatore nei boschi e villaggi della sua terra, al Nietzsche che tanto ha amato i paradisi ghiacciati dell’Engadina che si ritrovano anche nell’opera di Camenisch.
Ma forse le libere associazioni debbono fermarsi qui perché in questo volume di Camenisch (tradotto da Roberta Gado) vi sono essenzialmente 47 quadretti che sono anche i brevi capitoli che compongono questo piccolo ma tagliente e limpido romanzo costruito sulle emozioni e lo svelamento dell’interiorità dei due personaggi, un marito e una moglie colti nell’autunno della loro vita, quando si trovano in un albergo di lusso dell’Engadina dove hanno vinto un soggiorno premio. I due coniugi manifestano i loro diversi approcci alla vita stessa nelle varie situazioni, in sé insignificanti, che si presentano loro di fronte. Questa diversità non gli ha impedito di trascorrere quello straordinario cammino che è la vita insieme. Sullo sfondo c’è proprio l’aria rarefatta e i paesaggi evocativi della Svizzera, sebbene in questo caso non visti da un sanatorio o dalla dimora estiva di un filosofo, ma vissuti con gli occhi dei coniugi, con i loro dialoghi serrati e fittissimi, come un flusso di coscienza a due, in una struttura formale della narrazione che è un flusso reso sintatticamente con il libero e concomitante uso del discorso indiretto e diretto senza soluzione di continuità, scavalcando le regole della punteggiatura.
Come due Bonnie e Clyde i protagonisti rievocano alternandosi nel loro peregrinare intorno al luogo di vacanza la loro vita trascorsa assieme e le persone che hanno incrociato durante il loro cammino. Come due criceti che si muovono dentro la ruota facendola girare, pur rimanendo sempre nello stesso posto, utilizzano come valvola di sfogo e confronto questo andare avanti e indietro intorno all’albergo, il loro andare e ritornare in carrozza, con la donna che è affascinata da tutto ciò che la circonda, dal paesaggio maestoso, dagli incontri che fa e che servono nel suo caso a rivitalizzazione della memoria, andando a ripescare persone e accadimenti del proprio passato e cercando con questi nuovi stimoli, desideri e aspirazioni, con lui che viceversa intimorito e guardingo, sembra arroccarsi su una malinconica difesa delle sue poche certezze esemplificate magistralmente e quasi feticisticamente nel borsone che si porta sempre dietro.
Un bel romanzo ci ha regalato il bravo scrittore svizzero del Cantone dei Grigioni che scrive in romancio, una declinazione quasi italica dell’essere svizzero, che è poter essere qualsiasi cosa, una contaminazione linguistica, un farsi della lingua che sembra voler uscire dal guscio delle ombrose vallate elvetiche e che da questi temi intimi, umili e semplici sembra voler parlare in questo piccolo ma delicato e prezioso racconto a tutti e di tutti noi, dei sentimenti e delle nostre emozioni più profonde, sotto la patina di sfoglia d’oro della sua apparente leggerezza.
È proprio il titolo che ritorna in qualche modo a chiudere il cerchio “filosoficamente”, quel “prendersi cura” heideggeriano che declinato nella quotidianità può essere anche il sostegno reciproco che si dà una coppia giunta nell’autunno della propria esistenza.
Recensione di Simone Bachechi
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