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La fertilità poetica di Paolo Valesio, soprattutto in questi decenni del suo prestigioso "esilio" statunitense, merita di essere ricordata come un caso anche generazionale (lo sottolinea giustamente Alberto Bertoni nella importante nota introduttiva) di eterodossia tipologica. Egli appartiene infatti a una generazione, quella dei nati attorno al quaranta, troppo ricca di stimoli storici e culturali, politici e innovativi, per poter adottare quella di poeta come vera e propria professione identitaria, culto e carriera, specialismo e ossessione. Peraltro, o forse proprio per questo, la congiunzione della situazione extraterritoriale di italiano all'estero con la plurivocità degli impulsi culturali ha prodotto uno scaffale considerevole, anche quantitativamente alto rispetto alla media, talora siglato da una editoria di spicco, talaltra donato a situazioni di stampa più segrete e sperimentali; senza contare i rapporti di Valesio poeta con le arti visive, con il teatro e con la musica; vero e proprio testimone postsessantottesco, inquieto e sorpreso, e comunque sempre consapevole di un punto cruciale di incontro con la storia delle idee.
La sua storia personale porta da qualche anno dentro il testo un'ossessione esplicita, la declinazione di una svolta resa pubblica con modi tutt'altro che trionfalistici, spesso confidenziali, quasi mai intimistici in senso convenzionale: da tempo egli usa definire "dardi" le proprie poesie, e qui occorre introdurre una piccola passeggiata metonimica per intenderci, e cioè lo spostamento dardi-iaculi-giaculatorie-preghiere brevi iterate e itineranti, ma itineranti anche in senso proprio per via della loro connessione veicolare con la scelta diaristica. In questo folto e al contempo nitido libro recente tale scelta è richiamata dalla titolazione Cronotopie della massima parte del testo, nonché dalla esplicitazione in calce a ciascun componimento del luogo e della data che ne riguardano la nascita. Cronotopo, se ben ricordo, è un termine messo in circolazione da Bachtin per individuare i motivi tipici delle trame narrative; ma già la fisica novecentesca ne parla a proposito della quarta dimensione aggiuntiva del tempo rispetto alle tre spaziali tradizionali.
Dunque, il poeta bolognese rende esplicito il proprio quadro programmatico, intendendo con questo assicurare al lettore che la cornice esterna costituisce un elemento essenziale per il senso complessivo del libro: la cornice è letteralmente interna al messaggio. Vediamone il perché. Il diario dei due anni (tale è l'arco temporale di produzione del libro) fonda il suo progetto su una idea del valore in sé dei giorni, i giorni della vita posti in successione e fissati alla memoria spirituale, di contro ai giorni vuoti, sfogliati, caduti nel deperimento dell'oblio biologico puro. Una sorta di intermittente "teopatia", di malattia del divino, attraversa come una corrente nervosa le non poche pagine; per manifestarsi sensibilmente e figurativamente, questa condizione necessita di una serie sempre rinnovata di "ierofanie", ossia apparizioni del sacro, che peraltro sono sistematicamente richiuse entro quel tentativo di normalizzazione che è la cornice dell'eventualità quotidiana. Ne nasce un effetto complessivo di sottigliezza senza clamori, con lo scattare non infrequente di forme di paradosso cresciute sul vuoto della sintesi, sul terzo escluso. Se mai sia una forma della mistica (e lo è certamente, dentro ansiosi canali eckhartiani e "agudezas" da secolo barocco), essa è peraltro certamente una forma del relativismo, del frammento e dell'istante, della gioia stessa.
"Queste tracce ci esortano / verso l'irraggiungibile equilibrio / fra il gran disegno della paranoia / e il deprimismo / della insignificanza quotidiana". La quotidianità è però anche la riabilitazione di interesse verso il marginale, l'imprevisto e l'occasionale: ciò che sta ai margini, nel cono d'ombra dell'inosservato, spesso diventa una stazione deputata all'apparizione del divino. Il marginale, appunto, diventa miracolo, il miracolo evento. L'intossicazione teopatica è l'atto di vitalità che porge al soggetto piegato dal mondo lo specchio per la propria autocoscienza. E dunque questa pratica quotidiana del credere, per di più non cercata ma autenticamente miracolante, è intima, infantile, scoperta e mite, tenera e logica, ma anche paradossale: in definitiva oso pensare che essa sia essenzialmente laica, se con questo termine si esclude ogni forma (il nostro presente è assai delicato sotto questo aspetto) di convinzione autoritativa e dogmatica; ed è in ogni caso confortante constatare quanto poco di dichiaratamente cattolico percorra il senso di questi versi. Per questo la pagina di Valesio, che comunque è sempre una pagina pensante, si apre alla vitalità e alla sorpresa, alla carnalità e alla congiunzione sottile e ragionata tra alto e basso.
E la storia? La storia c'è, siamone certi. Il 12 settembre 2001 il cronotopo del poeta è puntato su Recanati con il titolo Dopo ieri: "in questa coincidenza / del tuo sguardo con quello spegnimento, / solo allora cominci a sentire / il taglio terracielo aperto / alle 8,47 di ieri / sopra le Gemelle di Manhattan"; e non è l'unico suo testo in cui il trauma di quell'evento si introduca.
Giorgio Luzzi
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