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Il romanzo Su cuadorzu è una bellissima lettura per molte ragioni diverse ma fra di loro fittamente interrelate. Cercando di esporle analiticamente, una per una, ne selezionerei principalmente quattro: 1) è una bella storia che si legge senza cali di interesse o di tensione- è questa è una delle principali caratteristiche che si chiedono di solito a un'opera di narrativa: catturare il lettore dall'inizio alla fine, sia che si tratti di una lettura rapida o lenta e ragionata; 2) è una storia scritta in sardo e chiaramente pensata in sardo, senza tentazioni di pseudo-raffinamenti da lingua letteraria artificiale (il cui modello è stato da noi, purtroppo abbastanza spesso, un sardo un po' finto e "ripulito" dai suoi tratti più caratteristici per modellarsi su un italiano letterario scritto, a sua volta un po' spento o asettico e privo di vitalità); in questo caso invece la lingua è una lingua scritta viva; 3) è una storia che è scritta per raccontare una storia, e non per fare un saggio di cultura sarda con la scusa di raccontare una storia. Infatti, benché il protagonista e le diverse voci narranti siano dei vecchi uomini sardi e il tema abbia a che fare con una riflessione sui rapporti tra presente e passato, il romanzo non è scritto per trasmettere, conservare o tramandare, con la scusa del racconto, informazioni sulla cultura sarda del tempo che fu, ma per porre un problema generale sul senso della vita e delle azioni umane in generale. Il romanzo non si perde in descrizioni di come è o di come si fa questo o quello (nessuna concessione cioè al folklore o all'etnicità), ma segue un andamento rapido e le descrizioni sono funzionali al racconto e ridotte all'essenziale. Anche in questo senso non c'è alcuno spirito nostalgico del tempo passato, o nessuna tentazione di mitizzare il passato rispetto al presente, anzi! Il passato ha sì pur sempre un'aura di mito e leggenda ma solo perché è inconoscibile fino in fondo, solo perché non c'è più e lo si può conoscere solo attraverso frammenti non sempre comprensibil
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