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Anno edizione: 2017
Anno edizione: 2016
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Matteo Marchesini (1979) è uno dei più eclettici giovani scrittori italiani: critico letterario, poeta e narratore, vivace polemista culturale, ha raccolto per le edizioni Elliot la sua produzione in versi, sparsa in diverse pubblicazioni a partire dal 1999, sotto il titolo - programmaticamente definitorio - di "Cronaca senza storia": quasi a esibire l'esplicita volontà di ritagliare per la sua poesia uno spazio più individuale e circoscritto rispetto alle prese di posizione dichiaratamente ideologiche riservate agli altri suoi interventi critici. La raccolta, prefata con acuta intelligenza da Paolo Maccari, si suddivide in due parti: la prima ospita i testi più recenti e inediti, la seconda offre al lettore una selezione di versi già pubblicati da Scheiwiller. Già dalle poesie giovanili inizia una sorta di gioco narcisistico e plateale di oscillante confessione e assoluzione, in cui Marchesini si accusa implacabilmente di sterilità fisica e intellettuale, di conformismo e inadeguatezza, di incapacità di corrispondere sinceramente alla vita nella sua semplice immediatezza. La colpa riconosciuta e ammessa è il tradimento della lealtà a se stesso, la costruzione artefatta di un io letterario falsificante, l'inautenticità che l'uomo e il poeta instaurano quotidianamente con la pagina scritta e con il prossimo: "Una vita passata / a invidiare la gente che vive / e non sta sul chi vive". Se quindi la cifra contenutistica del libro è tutta racchiusa in questa severa ma compiaciuta circumnavigazione del proprio io, nell'implacabile e ostentato confiteor che accomuna la produzione di Marchesini a quella della maggior parte dei giovani poeti italiani, la resa formale dei suoi versi ne fa l'epigono consapevole di tanta tradizione del nostro novecento (Montale, soprattutto, ma anche Saba, Luzi, Raboni, Giudici e il Pasolini più elegiaco): fedele a una musicalità che si esprime nella ricerca assidua di rime e assonanze, e negli incipit spesso endecasillabici.
Recensioni
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La poesia di Matteo Marchesini non vuole “illudere”, e a tal fine rifiuta vuote risonanze di contenuto e di stile. Come la conoscenza non è un’arma sufficiente contro il male, così la verità affidata alla scrittura, non può risarcire degli inganni della vita, perché nasce da una dolorosa, indesiderata “scissione” tra vita e scrittura. Basta infatti che il poeta tratti dialetticamente sé stesso perché vita e letteratura si scambino le parti e il vero si riveli inesprimibile a parole.
Sono molte le illusioni che fanno le spese di questa fedeltà al vero. Intanto l’idea che l’arte ri-pari i guasti dell’esistenza; poi l’amore. “Sapere”, “conoscere”, “capire”, “vedere”, sono i verbi più frequenti della poesia di Marchesini, nonché i principali avversari del sogno e dell’illusione. Anche la durata è illusione, esiste solo il presente, la sua cronaca, perché il quotidiano è così urgente, a volte violento, che brucia qualsiasi riserva di energia o slancio prospettico oltre il qui e ora. Lo iato tra Marchesini critico e Marchesini poeta non potrebbe essere più evidente: se il primo è con la storia, il secondo è con la cronaca senza la storia. Una storia personale, s’intende, in cui gli eventi si tengono a formare un destino. Ma la rinuncia alla storia è anche fuga per paura di essere inchiodati a un destino che fa orrore, come quello descritto in un testo struggente, Monologhetto: “Perderò tutto e tutti crederanno / che io sia il tronco che di me rimane, / che non capisca ogni cifrato senso / delle frasette che sussurreranno / quando uguali verranno a visitarmi / in qualche casa pia, monumentale”.
A Marchesini non mancano orecchio e intelligenza compositiva, ma a prevalere è il bisogno di dire con precisione ciò che è stato pensato con precisione, sicché le emozioni fanno a volte la fine della farfalla fissata con lo spillo entomologico. È però interessante notare come questa tendenza scompaia negli splendidi testi della Seconda attesa, con cui si chiude il libro, dove la forma del sonetto garantisce una curvatura melodica che allenta le fibre del ragionamento e impone il ricorso a una sintassi musicale, più che grammaticale.
Recensione di Marianna Comitangelo.
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