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la complessità del pensiero umano passa attraverso la fede religiosa.
Walter Burkert è l'uomo di un solo libro: "Homo necans" (speriamo che Boringhieri lo ripubblichi presto), propprio come altri protagonisti del dibattito antropologico contemporaneo: penso a J. P. Vernant col suo "Mito e pensiero" o a R. Girard col suo "La violenza e il sacro". Ma se in "Homo necans" (1972) Burkert riusciva a mantenersi in un ragionevole equilibrio tra interpretazione antropologica e dati storici precisi (gli usi sacrificali greci e i miti connessi), nei libri (e librini) successivi propendeva sempre piu' per le generalizzazioni e le teorie definitive sulla "religione" (intanto cresceva la sua fama di maitre-à-penser, riconosciuto come autorità assoluta da schiere di professorini soprattutto in Italia e in USA). Finchè ne "La creazione del sacro" il Nostro si muove ormai in una sorta di laboratorio da dottor Ballanzone, cercando le "origini della religione" tra gli scimpanzè e magari citando come supporto alle sue teorie film come "Lo squalo" o "Gorilla nella nebbia".
La religione è la meno ovvia fra le realtà universali. Non è certo chiaro, infatti, perché in una prospettiva evolutiva la specie umana abbia sentito costantemente il bisogno di una costruzione così audace, la cui funzionalità per la sopravvivenza è tutta da dimostrare. Burkert affronta questa fenomenologia in apparenza scandalosa prendendo in esame le testimonianze di religioni delle antiche civiltà mediterranee e mediorientali e isolandone i tratti basilari, i moduli ricorrenti, in uno studio dove antropologia e biologia, storia ed etnografia, etologia e linguistica concorrono a formulare una interpretazione seducente e persuasiva. Si tratterà così di individuare le corrispondenze morfologiche fra alcuni elementi essenziali delle religioni e certi modelli comportamentali umani – ma anche e soprattutto animali – che svolgono un ruolo decisivo nel garantire la vita: il sacrificio al dio si può leggere nei termini di un «sacrificio parziale in nome della sopravvivenza in situazioni di pericolo e di ansia»; il «sacro timore» è riconducibile alla paura generata dallo sguardo del predatore; mitologia e fiabe seguono schemi narrativi che riproducono i passi del programma biologico per la ricerca del cibo; le divinità si presentano come potenti esorcismi di fronte a un mondo che altrimenti minaccia di continuo di sprofondare nel caos. Paradossalmente, alla fine, questo imponente insieme di rappresentazioni – di cui il progresso dei Lumi pretendeva di sbarazzarsi in quanto avrebbe conculcato l’espandersi della vita – si rivela uno dei più possenti artifici per proteggerla e svilupparla.
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