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Stimare i costi sociali ed economici della criminalità organizzata di stampo mafioso non è un'operazione semplice, né priva di rischi. L'estrema variabilità delle cifre prodotte da economisti, associazioni di categoria, istituti di ricerca rende la quantificazione di tali costi un'araba fenice. Quando è esplicitato, il metodo impiegato in questi studi risulta non di rado poco rigoroso e, di conseguenza, i risultati poco o per nulla attendibili. I motivi di questa difficoltà sono presto detti e rimandano alla natura stessa dei fenomeni che si vogliono indagare: estrema opacità, ambiguità, confini labili e mobili. Malgrado questi evidenti limiti, le stime sui costi delle mafie hanno la capacità di diffondersi in maniera virale nell'opinione pubblica e, complice la loro riproposizione acritica da parte di magistrati, istituzioni politiche, giornalisti, studiosi, promettono di radicarvisi in maniera duratura.
Per sottrarsi alla tentazione di fornire cifre tanto mirabolanti quanto discutibili sul "fatturato" delle mafie è necessario occuparsi di fenomeni più circoscritti, adottando un metodo di ricerca solido ed empiricamente controllabile. È questa la strada imboccata qualche anno fa dal gruppo di ricerca costituito presso la Fondazione Rocco Chinnici di Palermo, il cui primo lavoro aveva l'obiettivo di stimare l'entità dell'esborso monetario dovuto al racket delle estorsioni in Sicilia. A due anni dall'uscita del volume, curato da Antonio La Spina, che dava conto del percorso e dei risultati dell'indagine (I costi dell'illegalità. Mafia ed estorsioni in Sicilia, il Mulino, 2008), grazie al lavoro di un gruppo di ricerca allargato e in parte rinnovato, esce ora un volume "gemello" dedicato ai costi delle estorsioni in Campania. Come il primo libro, anche questo non è esclusivamente un volume di ricerca sociale, ma ospita saggi e interventi di diversa natura.
La prima parte del volume contiene i saggi che presentano il contesto territoriale e criminale nel quale la ricerca si svolge, nonché i principali risultati dell'attività d'indagine. Due tra i principali protagonisti della lotta alla camorra il procuratore della Repubblica di Salerno Franco Roberti e il prefetto di Napoli Alessandro Pansa tracciano un quadro piuttosto nitido e che nulla concede ai luoghi comuni circolanti sul fenomeno criminale campano. L'esperienza maturata sul campo consente loro di mettere a fuoco gli intrecci tra la camorra, l'imprenditoria e la politica, sottolineando quella "reciprocità funzionale" fatta di affari comuni e vantaggi reciproci. Si mettono così in discussione le rappresentazioni imperanti della camorra-mostro che tutto può e tutto ottiene, a favore di una visione più realistica che chiama in causa le responsabilità della politica e dell'imprenditoria. Perciò, più che l'omertà o la paura, a fondamento della diffusa reticenza degli imprenditori nel collaborare con le istituzioni starebbe, secondo il procuratore Roberti, un "calcolo utilitaristico legato alla esigenza di non attirare l'attenzione dello Stato sui profili illegali delle proprie attività (evasione fiscale, acquisti di merce in nero, dipendenti non inquadrati, ecc.)". Su questo terreno si spinge convincentemente oltre il prefetto Pansa, quando nota che in molti casi il collante del malaffare che tiene insieme politici e imprenditori è estraneo a dinamiche camorriste ed è perfino più pernicioso di esse. È quanto si rileva, ad esempio, "nei comuni sciolti per infiltrazione camorrista [nei quali] il tasso di condizionamento camorrista è sempre inferiore rispetto a quello dell'illegalità non connessa al crimine organizzato".
Nel lungo e denso saggio di Di Gennaro sono presentati i primi risultati della ricerca. La trattazione parte da lontano, dalla storia e dalle caratteristiche di fondo della camorra, per giungere a illustrare i punti di vista di magistrati, forze dell'ordine e vittime sul fenomeno del racket. Una serie di stralci di interviste in profondità è usata dall'autore per mettere in luce quale sia il significato e quali le funzioni che il pizzo svolge per i gruppi camorristi, per individuare attori e dinamiche dell'esazione di questa tassa criminale, per riflettere sulle vulnerabilità di alcuni settori economici.
A uno degli interrogativi posti al centro dell'intero progetto di ricerca (a quanto ammonta l'esborso monetario delle estorsioni?) prova a rispondere l'economista Maurizio Lisciandra. Applicando, con qualche modifica, il metodo di raccolta e analisi delle informazioni messo a punto in occasione dello studio sulla Sicilia, Lisciandra giunge a stimare in 950 milioni di euro annui il prelievo forzoso subito dalle imprese operanti nelle province di Napoli e Caserta. Sebbene le due cifre non siano perfettamente confrontabili per ragioni metodologiche, è opportuno ricordare che per l'intera Sicilia il costo stimato era pari a un miliardo di euro.
Ad Attilio Scaglione, che come Lisciandra e altri aveva già fornito un contributo importante nella prima ricerca, è stato affidato il compito di esplicitare similarità e differenze delle estorsioni nelle due regioni. Diversamente dal saggio sulla Sicilia, nel quale Scaglione ha proposto un'interessante tipologia delle estorsioni (sistematica, tradizionale, complessa o molteplice, predatoria), associando ogni tipo a un'area della regione, nel contributo di questo volume l'autore concentra la propria attenzione sulle caratteristiche organizzative e sulle tendenze delle due mafie. Un'analisi che si rivela problematica anche a causa della complessità dei due oggetti che si intendono comparare, tenendo peraltro conto che la camorra è caratterizzata da un elevato grado di eterogeneità interna.
Un contributo di sicuro valore conoscitivo sulle estorsioni in Campania è quello, esteso e appassionato, di Tano Grasso. La sua intensa e prolungata frequentazione del campo dell'antiracket, con incarichi specifici a Napoli e in Campania, gli consente di tracciare un quadro molto accurato del fenomeno estorsivo in questa regione. Nel suo saggio, Grasso mette a nudo le strategie camorriste in tema di estorsione, esplicitando la rilevanza in termini di potere criminale derivante da questa attività. La parte più interessante del capitolo, e forse dell'intero volume, riguarda le modalità di creazione e le condizioni di successo di un'associazione antiracket. Distillando la sua esperienza ventennale, l'autore estrapola, dunque, un prezioso decalogo su come far nascere e sviluppare l'associazionismo antiracket.
Accanto ad altri contributi di interesse più circoscritto, come ad esempio quelli centrati sull'analisi testuale di atti giudiziari, il volume ospita alcune dettagliate e documentate riflessioni di taglio giuridico sul reato di estorsione e sulla vexata quaestio dell'obbligo di denuncia dell'imprenditore estorto. La parte conclusiva si compone di saggi, alcuni anche molto brevi, scritti dai membri del comitato scientifico del gruppo di ricerca e da alcuni esponenti di rilievo del mondo imprenditoriale campano. È questa la sezione del libro che appare più frammentata, a tratti anche in contrasto con alcuni punti fermi esposti nei capitoli introduttivi. Ci si riferisce, ad esempio, all'immagine degli imprenditori che emerge dal contributo di Cristiana Coppola, vicepresidente nazionale di Confindustria con delega ai problemi del Mezzogiorno, che dipinge un quadro forse fin troppo ottimista rispetto a quelli tratteggiati dal procuratore Roberti e dal prefetto Pansa. Un contrasto che coglie appieno lo sforzo in cui sono impegnate, sulle orme di Confindustria Sicilia, l'associazione campana e nazionale degli industriali.
In definitiva, rispetto al volume sulla Sicilia, questo sulla Campania appare meno coerente ed efficace, presentando perfino una cura tipografica meno attenta. Ciò non toglie che l'esperienza di ricerca giunta ormai al suo secondo appuntamento sia fortemente da apprezzare e, anche in prospettiva, incoraggiare. Nell'ipertrofico ed eterogeneo campo editoriale sui temi della mafia, un volume capace di tenere insieme buona ricerca empirica, puntuali riflessioni di giuristi e testimonianze di chi è in prima linea nella lotta al racket, all'usura e ai fenomeni criminali in genere rappresenta senz'altro una perla preziosa.
Vittorio Mete
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