La prima constatazione che deve accompagnare la comparsa di un libro dedicato a Cosimo Fanzago scultore è che era necessario, urgente. Necessario come pietra angolare per le ricerche sul Barocco meridionale, e urgente per permetterne la diffusione, offrendo una bussola per muoversi nel mare di articoli, saggi e raccolte di documenti che hanno frammentato la storia dell'arte napoletana, facendo maturare un timore di naufragio bibliografico. La scelta di una monografia tradizionale risponde in pieno all'esigenza d'uno strumento di lavoro indispensabile per chi voglia affacciarsi al raggiante teatro del Seicento partenopeo dalla porta principale: quella di Cosimo Fanzago appunto. È ben noto che egli fu un artista lombardo che trovò fortuna nella capitale del regno, creando una koinè decorativa egemone, contagiosa e duratura; tuttavia la notevole personalità di Fanzago architetto e ideatore d'ornati in marmi policromi ha finito per sovrastare la sua essenza di scultore. Il semplice titolo del libro nasconde una schietta dichiarazione d'intenti, legando il nome di Fanzago solo alla scultura, alle sue radici formative, alla sua arte madre. L'apporto maggiore di questo accurato catalogo è allora la possibilità di sfogliare per documenti e per immagini l'intera carriera di Fanzago e di apprezzarne le cifre stilistiche nella loro parabola cronologica, sebbene molte opere abbiano avuto tempi di produzione dilatati a causa della disponibilità lavorativa onnivora e un po' truffaldina di Cosimo. Ad ogni modo il libro, frutto della tesi di dottorato dell'autrice, non è certo un lavoro di nuda compilazione. Vi si trovano, ad esempio, scoperte documentarie sui tabernacoli napoletani di San Martino e della Trinità delle Monache, la ricostruzione lucida della commissione dell'altar maggiore di San Niccolò al Lido di Venezia, come pure la giusta restituzione a Cosimo di due Angeli bronzei, già sul ciborio di Serra San Bruno. L'apparato fotografico è considerevole e di qualità. Splendida e significativa la fig. 14 della testa di un Angelo innaturalisticamente assediata dai riccioli. Si rimane, certo, con la voglia d'osservare ancora più volti, dettagli e panneggi. Un limite ovviamente dovuto ad argini editoriali, che penso serva anche da incentivo alla curiosità e all'approfondimento di alcuni problemi. Chiari affiorano i debiti di Cosimo con la dura tradizione lombarda, così come la polivalenza della sua tentacolare bottega, che ebbe rapporti con i migliori scultori attivi in città (Ferrata, Finelli, Bolgi) e allo stesso tempo gestì con piglio imprenditoriale ciurme di marmorai di medio-basse capacità. Tali circostanze hanno diluito, contaminato e spesso indebolito non poco le creazioni di Fanzago, dunque la scelta di ridurre al minimo le foto di confronto e di contesto lascia nel lettore un certo senso d'assenza. Questa mancanza è tuttavia limpidamente giustificata dalla volontà dell'autrice di creare un catalogo il più puro possibile, nonostante Cosimo si dimostri una figura scivolosa, riluttante all'inquadramento in categorie e a quella sacrosanta ricerca del "vero Fanzago" che auspicava Antonia Nava Cellini. Cosimo Fanzago scultore è sicuramente una conquista per gli studi napoletani. Ma credo di non tradire le intenzioni dell'autrice nel pensare che è soprattutto, e finalmente, una base salda per ulteriori aperture; quelle su Cosimo a Roma (semi-impermeabile alle idee di Bernini), sulla sua bottega e le relative intersecazioni con scultori già formati, sulla propagazione del fanzaghismo nel regno mi paiono tra le più promettenti. Fernando Loffredo
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