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Di Vito Moretti ho avuto occasione di leggere La polvere sul cucù, una raccolta di racconti sulla grandezza degli umili e Luoghi, una silloge poetica frutto di impressioni di viaggio. In entrambi i casi mi sono trovato di fronte a opere di gradevole lettura, per niente superficiali, ma che, senza approfondimenti eccessivi, tuttavia lasciano qualcosa dentro di sé, un incisione lieve, ma senz’altro duratura. Indubbiamente l’autore ha un talento innato, impreziosito dagli anni di studi e probabilmente anche dalle esperienze maturate in qualità di docente universitario. Le cose, altra raccolta poetica, parte da un presupposto imprescindibile e di cui spesso nemmeno ci accorgiamo: gli oggetti, per loro natura inanimati, arrivano a un momento che diventano cose, cioè ricordando fatti ed eventi del nostro trascorso finiscono con l’essere parte inscindibile dall’esistenza stessa. Gli oggetti sono amorfi, si considerano per la loro funzione, ma nel momento in cui, invecchiando con noi, sono capaci di suscitarci la memoria acquistano come un’anima, diventando appunto cose. La penna con la quale si è scritta la prima lettera d’amore, il divano sul quale ci si scambiate le prime affettuosità, lo scalcinato ombrello con il quale, stretti stretti, ci si è riparati dalla pioggia e via dicendo, diventano parte di noi stessi, ricordano e rievocano, sono testimoni della nostra esistenza. Le cose hanno un linguaggio pertanto, un linguaggio per ognuno di noi, per le sensazioni che ci fanno rivivere, per le emozioni che ci fanno riprovare. Un po’ in dialetto, un po’ in italiano si esprimono le cose, parole, versi che Moretti traspone sulla carta lasciando trasparire l’emozione che prova, la sensazione che il passato riesca a dare un senso al presente e anche al futuro. Da leggere, senz’altro.
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