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Ho conosciuto Antonio Erbetta nel 1987 ed ho smesso di frequentarlo con assiduità nel 1996. Ho cenato, discusso, camminato con lui e lo considero una sorta di maestro. Abbiamo litigato moltissimo( una volta mi lanciò un portacenere). Ci mettemmo perfino le mani addosso e finimmo per terra, a menarci. Come due ragazzi( o due idioti). Detto questo Antonio è stata la persona più profonda, sensibile, complessa, affascinante, intelligente che io abbia mai incontrato. Con la scrittura non ha dato il meglio. La sua forza stava nelle parole dette. Nel tono con cui le diceva. Nella faccia che faceva mentre parlava. Nell'umanità che veniva fuori da quelle parole. Grazie a lui ho imparato che sotto ad un principio abita sempre una altro principio. E che la vita è un gioco. Un gioco serio e spesso poco gioioso ma anche che niente vale come certe rapide gioie.
Il prof. Erbetta meriterebbe un'analisi sociologica, relativa al tipo di intellettuale che egli rappresenta. Scrittore confuso e ingarbugliato, cattivo rimaneggiatore di pensieri altrui, tronfio nelle sue proposte culturali, egli rappresenta un tipo piuttosto diffuso nella nostra accademia. Se è vero che l'artificio spesso rispecchia la mente dell'artefice, si guardi questo libro: un'accozzaglia di allusioni, richiami a pensatori e correnti di filosofiche alla moda. Leggetelo e vi renderete conto che dice solo una cosa: io sono bravo perché cito questi autori. Povera pedagogia,poveri nostri ragazzi in mano a certi vanesi..A proposito tanto tempo fa uscì un bel libro di Artur Schopenhauer, La filosofia delle università..Ve lo consiglio per disintossicarvi..
Recensioni
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Attraverso una lettura trasversale di opere e autori novecenteschi Mann e Artaud, Sartre e Cioran, Bataille, Hillesum, Pasolini e Bianciardi ,cui si unisce un saggio fotografico che s'ispira all'opera plastica di Rodin, gli Autori propongono il tema del corpo come luogo autoformativo per eccellenza. Luogo in cui rintracciare l'idea di una educazione come «esperienza vissuta dell'uomo in quanto cultura», secondo i principi di una pedagogia fenomenologica ed esistenziale capace di evadere dalle letture conformistiche, retoriche ed edificanti, che spesso affliggono il discorso formativo. In questo senso, i materiali letterari considerati sono altrettanti pretesti caratterizzati dal rapporto stringente tra autobiografia e opera letteraria. Pretesti attraverso cui è possibile leggere, in filigrana, veri percorsi educativi uniti da una visione problematica e dissidente della scoperta di sé: quel «diventare quel che si è»entro cui si realizza, forse, la vera idealità metodologica e regolativa dell'educazione. Di qui, dunque, anche la stessa funzione didattica del volume, nel quale educatori e insegnanti potranno trovare proposte molteplici di lettura del testo letterario, in questo caso non "analizzato" in chiave filologica, ma aperto all'idea di una scuola come laboratorio di formazione esistenziale.
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