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recensione di Chiarloni, A., L'Indice 1991, n. 9
Alla domanda di un critico che le chiese cosa l'avesse spinta a scrivere un libro sulla sorella del più grande scrittore tedesco, Sigrid Damm rispose: "Il fatto che si trattasse di un'impresa disperata. A lungo ho creduto che questa figura potesse vivere solo nella mia immaginazione. La vita di Cornelia è un foglio bianco: una vita incolore, quasi non vissuta, chiusa da una morte precoce. Finché mi resi conto che proprio questa mancanza di contorni doveva essere il mio tema". Il lettore - di sicuro la lettrice - ha già capito: la biografia di questa studiosa del Settecento tedesco si colloca nella vasta produzione d'impianto femminista che nell'ultimo decennio ha rintracciato i lineamenti sepolti nel tempo di tante donne, arricchendo la nostra memoria letteraria di svariati ritratti femminili - mogli, sorelle o amanti di maschi illustrissimi - come Clara Schumann e Anna Maria Mozart, Henriette Vogel e la Gunderrode, per limitarci all'area tedesca.
Quello di Cornelia Goethe era però un caso particolarmente difficile, un po' perché di suo pugno non si è conservato quasi nulla - qualche lettera e un breve diario, assai manierato, in francese - ma soprattutto perché lo stesso Wolfgang, rimossa in età matura la complessità del rapporto giovanile con la sorella, aveva provveduto a congelarne il profilo nell'autobiografia che, come si sa, è perentoriamente intitolata "Poesia e verità". Era frigida, brutta, incapace di vivere, scrive Goethe. Certo Sigrid Damm non è la prima a mettere in discussione questo verdetto e a indagare le valenze del sentimento fraterno tra Cornelia e Wolfgang. Già nel 1914 Otto Rank ne aveva discusso sulla rivista "Geschlecht und Gesellschaft" (Sesso e società). Negli anni ottanta anche K.R. Eissler, autore di uno studio psicoanalitico su Goethe, era intervenuto sulla questione, arrivando ad una diagnosi categorica: amore incestuoso. Ma l'autrice - che si è formata nella Ddr - pur non disdegnando l'analisi dell'inconscio goethiano, mira piuttosto ad una ricostruzione complessiva della dimensione storica e del contesto sociale in cui Cornelia è vissuta. Un esempio: "Il padre vizia la figlia. Il 4 giugno 1767 annota nel suo libro: "Per il mantello della signorina Goethe 22 fiorini". Un mantello da 22 fiorini, il salario annuale di un domestico", osserva la Damm. I procedimenti sono dunque diversi. Il suo, come quello di Christa Wolf con la Gunderrode, è un affondare graduale ed empatico nel quotidiano settecentesco basato su di una documentazione sommersa ma minuziosa, condotta sulla scorta degli archivi di Weimar e di Lipsia. I conti di casa Goethe, lo stemma di famiglia, l'onorario degli insegnanti, le spese per un "congressus anglius" tutti dettagli autentici, che danno rilievo alla narrazione.
Emergono abitudini, gusti e divertimenti di una colta famiglia patrizia nella Francoforte del tempo. Conti alla mano, la Damm stabilisce che il padre, Johann Caspar Goethe, fa qualcosa di inconsueto per il suo tempo, offre cioè a Cornelia - la figlia prediletta - la stessa istruzione impartita ai fratelli maschi. È di qui che nasce lo straordinario rapporto di confidenza tra lei e Wolfgang, maggiore di un anno. Gli amici comuni, le piccole trasgressioni, i primi smarriti trasalimenti amorosi. Nel momento in cui il candore infantile cede al risveglio dei sensi i due fratelli "si tengono per mano". Poi la separazione, traumatica per Cornelia: nel 1765 Goethe viene mandalo all'università. Lipsia e la vita goliardica: donne, ballo e teatro. Amabile e spavaldo, con un divertito senso di superiorità, ne scrive alla sorella, in lunghe lettere inframmezzate di voli lirici in inglese, secondo la moda del tempo. Esclusa dal mondo, Cornelia rimane a casa, in balìa di un padre sempre più rigidamente didascalico. Il fratello resta il suo punto di riferimento, in lui si rispecchiano le sue speranze, i suoi desideri non ancora sepolti. Le lettere di lei sono andate perdute, bruciate da Goethe nella sua stanzetta di Lipsia: la vista della fiamma gli procura - scrive - un godimento estetico. La voce di Cornelia non può quindi essere percepita che 'ex negativo', attraverso le tredici lunghe, frizzanti missive di lui, da lei religiosamente conservate. Qui la Damm procede con maestria, restituendoci di fatto un'autorappresentazione di Cornelia, la presenza cioè di un soggetto femminile che lacanianamente si potrebbe definire "parlato" dal linguaggio maschile.
S'intuisce anche, nell'approccio della Damm, un problema di ricezione connesso alla politica culturale della vecchia Ddr. Mi riferisco a quel tono di fondo, lievemente inquisitorio, nei confronti di Goethe che deriva - io credo - non tanto da una rivalsa femminista, quanto piuttosto da un'insofferenza diffusa tra gli intellettuali tedesco-orientali verso una nomenclatura che utilizzava a scopo ideologico il Goethe classico, quello di "Poesia e verità" appunto, depurato cioè di qualsiasi ardore wertheriano. Di qui ha origine una certa deformazione prospettica nel senso che la Damm rimprovera al Goethe adolescente di essere normativo e autoritario, il che può essere vero per il futuro ministro di Weimar ma suona un po' eccessivo per il sedicenne studentello di giurisprudenza. Certo, nelle lettere da Lipsia lui gioca a fare il fratello maggiore, corregge lo stile epistolare della sorella, elargisce con degnazione lodi e biasimo, prescrive o vieta determinate letture, ma tutto questo più che rivelare una "violenza distruttiva" (p. 48) sembra rientrare in un gioco delle parti previsto dai codici del tempo. Gioco al quale Cornelia, peraltro, si ribella, tanto da fargli scrivere stizzito: "Ho proprio l'impressione di predicare al vento. Tu vuoi solo i tuoi romanzi. Ebbene, leggili. Me ne lavo le mani". È vero invece che attraverso le lettere emerge nel giovane Goethe la mentalità (rousseauviana) del tempo, da una parte i "dotti" e i "poeti", dall'altra le "fanciulline"; "Non farmi dei rimproveri, sorella, una dolce fanciulla non deve brontolare...". Dolcezza, non erudizione, cerca il fratello in Cornelia. Ed è anche indubbio che quando Goethe si accorge che lei si evolve e progredisce proprio sulla sua stessa strada, accanto al riconoscimento, scatta pronta la minaccia: "La tua lettera, i tuoi scritti e il tuo modo di pensare mi hanno profondamente colpito. Non vi ravviso più la fanciullina, la Cornelia, mia sorella, la mia allieva, vi vedo uno spirito maturo, una Riccoboni, un'estranea, un autore, dal quale posso a mia volta imparare. O sorella mia, per favore, non scrivermi più lettere simili, o io taccio". Amore ed egoismo, affetto e appartenenza. Le parti sono predisposte: lei deve perfezionarsi "nel governo della casa non meno che nell'arte di cucinare". Tutt'al più può imparare le lingue e continuare a scrivergli lunghe lettere... E invece Cornelia comincia a tenere un diario segreto, in francese e in forma epistolare, sul destino delle donne. Non è un dialogo bensì una confessione in solitudine: l'eroina - come Werther - non aspetta risposta, scrive per far barriera contro il silenzio del fra tello.
Le analogie sono toccanti ma, ahimè, Cornelia imita ingenuamente le forme più convenzionali del tempo. Che avesse ragione Goethe quando le consigliava di scrivere molto ma di leggere il meno possibile? La Damm registra il suo disappunto: "La mia prima lettura dei diari. Attesa, emozione, leggo e... sono delusa. Che banalità, quanta monotonia". E che malinconica assenza di prospettive: una ragazza che grazie ad un'educazione illuminata è stata allevata secondo un principio di parità ha ormai interiorizzato senza scampo il codice sociale previsto per il suo sesso. "Darei qualunque cosa al mondo - si legge nel diario - pur di essere bella". Intanto le amiche attorno a lei si sposano. E tanto più la bellezza diventa per lei un valore assoluto, "indispensabile alla felicità della vita", quanto più Cornelia si sente sconfitta. Il maschio, al cui predominio vorrebbe sottrarsi, diventa ai suoi occhi arbitro esclusivo del suo destino. Un circolo vizioso, su cui la Damm indaga con pazienza, alla ricerca di una voce autentica, nascosta sotto un 'récit' di maniera. Ma a questo punto non è tanto il recupero della figura di Cornelia ad animare la lettura, quanto la sottile, complessa relazione che s'instaura negli anni successivi tra lei e il fratello.
L'autrice ha il dono di saper ricostruire in modo suggestivo l'ambiente dell'epoca. Nella seconda parte sulla filigrana della vita di Goethe, il racconto si apre sulla cerchia di amici - Herder, Merck, Lavater - per descrivere poi dall'interno il cenacolo di Darmstadt, con i suoi fervori mistici e sentimentali, "lo scambio di baci, sospiri, cuori e fiori, giochi dei pegni e lacrime". È qui che Cornelia conosce Schlosser e - di nascosto dal fratello - è con lui che si fidanza. Siamo nel 1772. Quasi mezzo secolo dopo, ricordando in "Poesia e verità" il matrimonio della sorella, in Goethe rogge ancora la gelosia nei confronti dell'amico che gli ha "preso il posto". E ancora retrospettivamente s'incolpa perché, innamorato com'era allora di Lotte Buff, aveva trascurato di tener d'occhio Cornelia. Di qui l'ipotesi della Damm che nello strazio del "Werther", la cui redazione inizierà l'anno successivo, confluisca anche l'esperienza di questa perdita. In Lotte ci sarebbero dunque anche i lineamenti di Cornelia? A suffragare questa supposizione c'è da dire che Goethe riprenderà il tema dell'amore per una figura sororale anche in "Stella" e, in maniera più drammatica, nell'atto unico "Fratello e sorella". E dalle lettere successive al trasferimento di Cornelia, ormai sposa a Emmendingen, risulta chiara la "ferita" del poeta. Tanto più che lei è infelice e deperisce a vista d'occhio. Dopo il primo parto, benché Schlosser sia un polo d'attrazione per intellettuali e poeti progressisti, Cornelia si relega in un'esistenza periferica, disperdendo la sua vitalità in un atteggiamento di rifiuto. E questo logora le sue forze. "È veramente terribile - scrive - ch'io stessa non riesca a interessarmi a nulla, n‚ a lavori manuali, n‚ alla lettura o al pianoforte. E nessuno che attiri i miei pensieri su altri oggetti, sottraendoli a un misero corpo malaticcio".
Da Weimar giungono gli echi del successo strepitoso di Goethe e in un disperato tentativo di ritrovare l'antico sodalizio fraterno Cornelia si rivolge a Charlotte von Stein, la nobildonna che il poeta ama "come una sorella". Si ristabilisce una tacita attrazione, una curiosa fusione con la vita del fratello. Esili ma significative le tracce, anche tra le carte di lui. Un ritratto della von Stein stranamente somigliante a Cornelia. Epiteti familiari, vocativi epistolari che rimandano a una figura sororale. Lettere di lei trasmesse da Goethe alla donna amata con in calce la confessione di un coinvolgimento profondo e lacerante.
Sullo sfondo - inevitabile, dolorosa - la gelosia di Schlosser che si sente escluso. Al marito lei, Cornelia, non può concedersi, scrive, perché è tutta presa dal fratello e vive nel mondo di lui, diverso da quello del riformatore di Emmendingen. Siamo nell'ottobre del 1776 e a rinfocolare la gelosia di Schlosser da Weimar arriva un manoscritto di Goethe, "Fratello e sorella", un convulso atto unico a tre voci, centrato sull'amore tra fratelli, Wilhelm e Marianne. "Ti prometto che non mi sposerò, voglio sempre aver cura di te, sempre, sempre...", suona una battuta di Marianne. Nella finzione letteraria c'è un lieto fine, i due non sono fratelli. Essi diventano marito e moglie, il loro amore trova il suo compimento. La terza voce, quella di Fabrice, innamorato di Marianne, resta esclusa...
Fermiamoci qui. Ce n'è abbastanza per più di un'indagine psicoanalitica, anzi per un'analisi di famiglia. E forse anche per questo la biografia della Damm, pubblicata a puntate sul 'feuilleton' della "Frankfurter All gemeine Zeitung", ha avuto tanto successo.
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