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Un'utile guida critica alla cooperazione allo sviluppo, tema di per sé scomodo da trattare ai tempi del cosiddetto "pensiero unico". Particolarmente significativa, e assolutamente da riproporre e approfondire, è la scelta di adottare un approccio (tra gli altri) di tipo storico, ricostruendo le diverse interpretazioni novecentesche del concetto di sviluppo, nonché le motivazioni addotte per gli interventi attuati dai paesi occidentali nei confronti delle realtà più povere del pianeta. La prospettiva storica è indispensabile per ricordare l'assenza d'imparzialità che ha sempre accompagnato gli aiuti allo sviluppo: ieri erano beneficiari solo i paesi dei due blocchi della guerra fredda, oggi l'aiuto avviene principalmente sotto forma di investimento estero di imprese multinazionali con sede in Occidente, non motivate evidentemente da fini umanitari; gli stati nazionali prosperi concedono ai paesi in via di sviluppo percentuali ridicole del proprio reddito. Una vera e propria industria dello sviluppo controlla la cooperazione internazionale, imponendo il modello del Piano Marshall per regioni che non potranno contare sul boom economico europeo del dopoguerra. La stessa categoria di sviluppo viene utilizzata, dato il suo carattere uniformante, per annullare quelle differenze di approccio che permettono di rispondere alla sfida della povertà con gli strumenti della flessibilità e ascoltando le esigenze locali. Non ci resta che decretare il fallimento - comunque voluto - del progetto "sviluppo (eguale) per tutti" e della crescita senza limiti, e dedicarci seriamente al compito di rendere davvero il mondo non più ricco ma più vivibile.
Mario Cedrini
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