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Anno edizione: 2016
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Il libro risale al 1970, ma ho letto l'edizione del 2016. I primi tre capitoli sono davvero interessanti: in essi l’autore riesce non solo a fornirci un’affascinante descrizione del rivoluzionario del 1789, ma anche un’originale critica di quella cruciale tappa storica di cui siamo tutti, nel bene e nel male, eredi. Il libro ha due grossi limiti: il primo è che Molnar finisce per fare un “minestrone” di importanti personaggi, inserendoli tutti nel “calderone” della Controrivoluzione: non condivido la sua scelta di etichettare come controrivoluzionari E. Burke e A. de Tocqueville che personalmente considero dei “conservatori”; così come ritengo errato sostenere che B. Mussolini fosse un controrivoluzionario, in quanto notoriamente ateo, antimonarchico e dal retroterra culturale socialista. Altro politico che non può definirsi controrivoluzionario fu M. Horthy che impedì per ben due volte il ritorno sul trono di Carlo d’Asburgo e rifiuto di considerare controrivoluzionario anche C. Maurras che fu un acceso nazionalista e infine sostenitore di un regime repubblicano come quello di Vichy. Inoltre, come emerge da un interessante saggio di D. Fisichella (La democrazia contro la realtà, Carocci, 2006), Maurras fu anche un estimatore del cosiddetto “Risorgimento” italiano, che fu una vera e propria rivoluzione liberale figlia del 1789. Insomma, penso che Molnar interpreti la Controrivoluzione in modo troppo esteso e che, nella maggioranza dei casi, la “Destra” sia stata ed è, un’altra espressione della Rivoluzione: basti pensare al pensiero di G. D’Annunzio e alla sua impresa fiumana o più recentemente ai movimenti sovranisti repubblicani e laicisti. Reputo che senza “Trono e Altare” non si possa parlare di vera Controrivoluzione. L’altro limite del libro risiede nella visione che l’autore ha degli U.S.A.: li considera “incarnazione dell’ordine politico precedente al 1789” e non comprende che buona parte della Rivoluzione di ieri e di oggi viene proprio da oltre oceano.
Testo ottimo, ma forse poco compreso dai chi lo ha ripubblicato e da chi lo ha (pur benevolmente) recensito prima. Molnar si situa in un preciso contesto di riflessione politica che è la scuola contro-rivoluzionaria che prende il via storicamente dalla Rivoluzione francese (da Burke, de Maistre, Bonald e Donoso Cortés) ma che trova come suo nemico il processo rivoluzionario in sé (che trascende quella che per la scuola è solo una tappa del processo qual è stata la Rivoluzione francese, che, per di più secondo tale scuola, non è nemmeno la prima tappa del processo medesimo, bensì addirittura la seconda...). Lo stesso sottotitolo (aggiunto rispetto alla vecchia ed insuperata edizione italiana Volpe e rispetto all'originale statunitense della Funk & Wagnalls) tende ad ingenerare tale equivoco: sebbene Molnar parta dalla Rivoluzione francese (più che altro, però, per mostrare come il rivoluzionarismo si irradi nella società, in qualsiasi società, di qualsiasi periodo storico, anche successivo), egli si focalizza in realtà sul fenomeno rivoluzionario in genere e sulle reazioni che esso ha suscitato, spaziando poi ampiamente nel testo attraverso tutto il Novecento (nonostante il volume sia del 1969, ma mostrando ampie dosi "profetiche"...!) e non avendo alcuna intenzione di vedere negli Stati Uniti una speranza contro-rivoluzionaria, posto che anzi lui ha altrove scritto della pericolosa influenza di una certa cultura americanista nel mondo che tende ad uniformare tutto l'Occidente e indirettamente tutto il globo. Ottima lettura, ottimo che si ripubblichi, ma sarebbe opportuno che lo si faccia con criterio (e che i lettori conoscano dunque meglio ciò che viene loro proposto, magari grazie a dei curatori preparati e che sappiano introdurre adeguatamente il tema in modo scientifico, come avvenuto, ad esempio, con Plinio Corrêa de Oliveira e Nicolás Gómez Dávila od altri della medesima scuola, grazie a curatori come Giovanni Cantoni e vari suoi epigoni).
Questo testo di Thomas Molnar l'arte dalla critica della rivoluzione francese intesa però come scaturigine prima di ogni rivoluzione e totalitarismo successivo. Per questo la sua opera può essere letta come una critica alla filosofia rivoluzionaria tout-court. Secondo Molnar il controrivoluzionario non deve vagheggiare un' impossibile restaurazione politica ma coltivare un' attitudine spirituale ,anzitutto individuale e solo dopo comunitaria, di resistenza critica nei confronti dell' ideologia ufficiale del progresso. In questa lotta gli unici baluardi istituzionali a cui l'autore riconosce una qualche autorevolezza sono la Chiesa Cattolica e gli Stati Uniti di cui valorizza l'antigiacobinismo e il localismo fondato sulle comunità.
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