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Di Aby Warburg non si è mai parlato molto, almeno fino a qualche tempo fa, probabilmente a causa della scarsa presenza dei suoi scritti nel mercato librario, da noi sostanzialmente ridotta alla tarda traduzione dei lavori più noti in La rinascita del paganesimo antico (La Nuova Italia, 1966). Warburg e il suo "metodo" erano semmai presenti nelle discussioni e nelle recensioni di lavori di altri, allievi e sodali del grande amburghese, almeno fin quasi alla fine degli anni novanta, quando si segnala una robusta ripresa di interesse, con varie iniziative e soprattutto la nuova edizione italiana degli scritti presso l'editore Nino Aragno. Anche nel piccolo ma sostanzioso libro di Silvia De Laude si parla di Warburg attraverso altri, giacché il volume raccoglie tre studi, già usciti in rivista, sui rapporti fra questi e un altro grande "fondatore" della coscienza culturale dell'Occidente, Ernst Robert Curtius, e tuttavia il lettore interessato troverà molto materiale utile anche sul primo dei due. Come per Warburg, anche nel caso di Curtius la traduzione italiana della sua opera maggiore (uscita nel 1948), Letteratura europea e Medioevo latino ha ritardato parecchio (La Nuova Italia, 1992; cfr. "L'Indice", 1993, n. 2), permettendone tuttavia una ricezione più meditata e articolata. Curtius l'aveva dedicata alla memoria di Warburg (oltre che di Gustav Gröber, uno dei maestri della filologia romanza), e la suggestione delle ricerche di Warburg fu certamente fra i motivi che lo spinsero ad abbandonare la letteratura moderna e la critica militante per dedicarsi allo studio del medioevo e della sopravvivenza in esso, e nella letteratura europea successiva, dell'eredità latina. Certo, il lavoro di Curtius è anche la risposta al sentimento di una crisi, personale e collettiva, sperimentato a partire dagli anni trenta e che Warburg, più giovane di una ventina d'anni e scomparso nel 1929, non ha probabilmente avvertito in tutta la sua drammaticità. Di qui, una tonalità dolorosa e nostalgica nel lavoro di Curtius, e nella sua ammirata e affettuosa adesione alle ricerche dell'altro. Ma, come osserva con grande penetrazione l'autrice, le affinità fra Warburg e Curtius sono molte: la "sopravvivenza dell'antico" nell'arte e nella letteratura, mediata dalle "formule di pathos" nel primo e dai tópoi nel secondo (per quanto non si tratti di concetti del tutto sovrapponibili), e la conseguente edificazione di un'"opera-museo" (da Warburg solo progettata nel grande atlante iconografico Mnemosyne, ma realizzata in concreto nella sua celebre biblioteca) disegnano un percorso di "continuità e variazione", o di "continuità nella variazione", che dei due autori fa a tutti gli effetti dei classici della modernità, e pure degli eccelsi companions per continuare a scrivere, variandola, la storia della cultura occidentale. Walter Meliga
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