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Questo libro è un’indagine sul teatro lirico articolata in una costellazione di undici saggi: in apertura, simbolicamente, incontriamo Wagner, nella sua opera-spartiacque, il Lohengrin, e poi, via via, Debussy, Schoenberg, Strawinsky, Strauss, Puccini, Janácek, Cajkovskij, Berg, Berlioz, analizzati ciascuno in una singola opera, mentre uno scintillante a parte è dedicato alle vicende dell’operetta. Questi saggi non comunicano certo fra loro come altrettante tappe di lineare decorso storico. Ma, risuonando l’uno con l’altro, essi rimandano a una «filosofia della musica moderna» ben decisa a sfuggire alle roventi tenaglie della dialettica adorniana, pur nell’omaggio al maestro ineguagliato del pensiero musicale. Nella visione di Bortolotto, il dramma musicale moderno, irrevocabilmente annunciato dal cigno di Lohengrin, si dispiega sì in un ventaglio di forme spesso incompatibili, ma ogni volta accenna a un’origine comune: la Romantik tedesca, qui intesa come il luogo geometrico della musica stessa nella sua improbabile, effimera e sublime epifania occidentale. Ed è questo il luogo che non può (né vuole) raggiungere il melodramma italiano, cui viene qui magistralmente sottratto Puccini, in quanto già contagiato, nelle sottigliezze e nelle malie della sua orchestra, dall’animico. È la Seele, infatti, l’anima romantica, la psiche dilagante nel cromatismo il presupposto non solo della più rigorosa ricerca sul linguaggio (come si dimostra da Schubert a Webern), ma di una torsione definitiva della musica verso una sacra penombra che il melodramma, chiuso nella rappresentazione canonica degli affetti, non poteva conoscere. Già in Fase seconda Bortolotto aveva tracciato una linea della «nuova musica» che, ancora una volta in contrasto con Adorno, partiva da Debussy per giungere a Stockhausen e alla scuola americana. In questo libro si torna invece, da una parte, alle radici del «moderno», – e dall’altra si affronta il rapporto della musica con ciò che la contamina, quale un fantomatico «altro da sé»: l’azione teatrale. E qui i percorsi si sovrappongono in tropicale rigoglio. Qui, con l’implacabile machete di un’analisi che ogni volta nasce dalle cellule musicali, Bortolotto si apre una «via regale» che ci impone di guardare a tutta la musica moderna in una prospettiva radicalmente mutata. Non poche saranno le sorprese: due compositori apparentemente agli antipodi, come Strauss e Strawinsky, svelano occulte affinità nella pratica del «metacomporre»; Cajkovskij e Puccini vengono rivendicati, contro le stolte condanne della loro eccessiva piacevolezza; Berlioz appare come primo messaggero delle veggenze e delle fragilità dell’avanguardia; in Janácek si ravvisa l’opera nefasta dei Buoni Sentimenti nel tessuto musicale; e su tutto si libra il fantasma di Lulu, labile e perfetto compimento di un’impossibilità: un’opera moderna.
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