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Quello che ci presenta Franco Mieli è un diario, le memorie del nonno Umberto Guidarelli, soldato partito volontario per l’Etiopia nel periodo 1935/36. Prima di avventurarci tra le pagine di questo manoscritto, è necessario fare una premessa. Mia madre mi raccontava che sua madre, ovvero di mia nonna, nata nei primi anni venti e cresciuta all’epoca del fascismo, ogni tanto se ne usciva con queste parole: “noi madri abbiamo il dovere di sacrificare almeno un figlio alla patria”. Se questa era la mentalità ampiamente diffusa anche tra le donne che sopportavano la causa con mesta rassegnazione, è facile immaginare che a monte ci stesse una forte propaganda politica cui era difficile sottrarsi, che esaltava gli ideali di amor di patria, coraggio, lealtà, fede, come un atto necessario, quasi dovuto. In questo clima era relativamente facile incontrare giovani idealisti, disposti ad abbandonare gli affetti più cari, la famiglia, la moglie e il figlio come nel caso del protagonista, la madre, e partire per la lontana Africa, a offrire il proprio contributo, il proprio coraggio, per la causa del Re e del Duce. Poco importava se il tributo da pagare poteva valere la vita stessa, l’importante era mostrare lealtà, orgoglio, coraggio. Le madri e le vedove dei caduti in cambio avrebbero ricevuto una medaglia al valore o una bella pergamena firmata dalle alte sfere dello stato da incorniciare e mostrare orgogliose… decisamente altri tempi, altra mentalità. Le pagine scorrono via veloci come istantanee fotografiche, le vicende narrate appaiono così vere e crude da sconvolgere il lettore. Frasi che ti corrodono, ti lasciano il segno, perché sai che non stai leggendo un romanzo d’avventura, ma cronache di vita vera, quella storia fatta dai piccoli uomini, quella realmente vissuta sulla pelle della gente comune. Consigliato anche per tramandare la memoria storica alle generazioni future. Da leggere assolutamente
Il diario del soldato Umberto Guidarelli assume, per la sua natura, particolare rilevanza. Chi visse quegli anni ed ebbe modo di registrare eventi e impressioni, non aveva la visione d'insieme, quella del senno di poi in grado di classificare, distinguere, distribuire torti e ragioni. Non vi era modo di prendere parte alle dinamiche o alle decisioni delle alte sfere che stavano dietro. Come va letto questo diario? Il volume rappresenta una fotografia, una presa diretta di avvenimenti che nel loro farsi e disfarsi non sono ancora storia, ma lo diverranno presto. Vi si aggiungono i sentimenti, la partecipazione emotiva del testimone che la penna distaccata e fredda dello storico di solito passa sotto silenzio. Chi si avvicina a queste memorie scritte a caldo diventa uno spettatore senza filtri. Ci immaginiamo tutto. Quel che viene dopo, o che sappiamo dai libri di scuola, per il momento è messo da parte, non ci interessano i profondi nessi tra gli eventi nelle loro alterne vicende, non del tutto chiariti neanche oggi. Paradossalmente il presente, col suo corredo di emozioni, sembra più conoscibile del passato sul quale lavora il tempo e l'inevitabile selezione delle fonti. Il punto di vista privilegiato è quello del soldato Umberto Guidarelli, a esso non dobbiamo aggiungerne altri. È il punto di vista di chi sente il dovere e accorre in difesa della nazione. Non ha voce in capitolo, né possibilità di scelta. La retorica non è di casa nella misura in cui rischiava del proprio lasciando moglie e figlio, sopportando con rassegnazione i sacrifici che ciò comportava, affrontando aspri giorni di combattimento, o ore di marcia sotto la canicola del sole somalo.
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