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Sebbene ispirato ad una evasione realmente avvenuta durante l'occupazione nazista in Francia, UN CONDANNATO A MORTE E'FUGGITO è una riflessione quasi metafisica sulla necessità della libertà come valore assoluto per sconfiggere il Male e combattere ogni condizione di prigionia dell'uomo, anche o sopratutto, quella della propria esistenza, per il raggiungimento della salvezza interiore. Il tenete Fontaine, recluso in una fortezza inepugnabile, percosso,umiliato, isolato, sopraffatto da una violenza ottusa e organizzata, non ha altra arma se non la propria indomabile volontà di liberarsi dal sistema brutale che lo opprime e che tuttavia non gli servirebbe a nulla senza gli stumenti del suo essere uomo: razionalità, concentrazione,pazienza e la manualità minimale con cui costruisce giorno per giorno, ora per ora,notte per notte,la sua 'impossibile' fuga. Fontaine, come un moderno Robinson, si affida alla Provvidenza, ma è anche figlio della ragione e dell'illuminismo. Bresson racconta una storia "senza ornamenti",col rigore di un registro narrativo freddo, geometrico, spoglio, l'essenza stessa della sintassi cinematografica, che restituisce al cinema una forza espressiva quasi primordiale. La voce fuori campo del protagonista, è un esempio di perfetto equilibrio tra commento delle immagini e racconto di un percorso interiore, un lento, travagliato, umile, progressivo avvicinamento a una condizione di libertà-liberazione, in cui i silenzi pesano più delle parole e i piccoli gesti hanno più valore dell'azione eroica eclatante. Indimenticabile, nella sua scarna semplicità (mdp fissa in campo lungo),la dissolvenza finale sull'immagine di Fontaine e il suo compagno di fuga mentre si allontanano in un'alba livida e nebbiosa verso la libertà.
Fuga come liberazione, il lavoro immane per poter fuggire, lo sguardo sempre più freddo e deciso. Ecco come Bresson affrontava la vita ed il cinema. Mai un compromesso, mai cedere, ma limare, lucidare, imboscare, vivere
Il migliore Bresson.
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