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Esce per Laterza la nuova traduzione di un classico della filosofia analitica del Novecento, una cui versione italiana era già stata edita da Einaudi nel 1955, a soli sei anni di distanza dalla prima edizione inglese, con il titolo (che oggi suona bizzarro) Lo spirito come comportamento. La traduzione di Gianfranco Pellegrino riadatta un classico della filosofia della mente e della filosofia del linguaggio al panorama culturale odierno e al lessico filosofico attuale. Il volume annovera un numero impressionante di temi e di approcci che ritroviamo nei programmi di ricerca delle scienze cognitive contemporanee, come l'ipotesi che la cognizione si presenti sempre "incarnata" e orientata nel mondo, o il carattere "non-mediato" delle nostre abilità pratiche. Il concetto di mente non è però solo un'opera fondamentale per gli "addetti al lavoro", ma un vero e proprio classico della cultura occidentale, la prima operazione di smantellamento del "dogma dello spettro nella macchina", l'idea che la mente sia qualcosa che "abiti" la nostra testa, e abbia conoscenza diretta delle sue rappresentazioni. La nuova traduzione è accompagnata dalla prefazione di quello che è il più illustre e originale fra i discepoli diretti di Ryle: Daniel C. Dennett, anch'egli autore di libri scientifici influenti, il quale mette in luce la capacità di Ryle, dovuta principalmente al suo stile argomentativo "informale fino all'esasperazione", di aiutarci attraverso esempi e analogie ad abbandonare le cattive abitudini di pensiero che ci spingono a pensare le categorie del mentale e del fisico in modo scorretto. In questo senso il libro di Ryle è oggi molto attuale, non solo perché negli orientamenti culturali odierni non mancano riproposizioni (più o meno velate) del "mito", ma anche perché rappresenta una lezione di "buona filosofia", un metodo di riflessione su quegli "errori categoriali" del senso comune che spesso si insidiano anche nella riflessione teorica. Giuliano Torrengo
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