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Con la morte nel cuore
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Con la morte nel cuore - Gianni Biondillo - copertina
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Con la morte nel cuore

Descrizione


Chi ha sparato all'ispettore capo Lanza del commissariato di Quarto Oggiaro? L'ispettore Michele Ferraro è alle prese con uno dei più difficili casi che gli siano mai capitati. Perché, in quella periferia milanese dove tutti si conoscono e dove è quasi impossibile distinguere gli innocenti dai colpevoli, sta succedendo qualcosa di grosso. Cosa c'è dietro? Che parte ha il Baffo, un sognatore finito a fare il barbone? E che strani intrecci si sono formati tra le mafie pugliesi, calabresi e slave? Ferraro indaga, facendo quotidianamente i conti con i suoi malumori, con l'ennesimo tentativo di prendere una laurea, e con il popolo minuto di una città raccontata con durezza sarcastica e simpatia contagiosa.
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Dettagli

2005
17 febbraio 2005
450 p., Brossura
9788882466558
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Indice


Le prime frasi del romanzo:

I
Prima di tutto

Lo scambio termico fra l'imboccatura metallica della pistola e la tempia sudata di Lanza aveva ormai raggiunto, per il noto principio termodinamico, un punto di equilibrio tale da permettere al malcapitato di evitare pensieri oziosi sull'argomento, offrendogli così l'opportunità di concentrarsi con più rigore sull'imminente stato entropico che avrebbe raggiunto da lì a poco.
In effetti il suo pensiero si era perduto su questioni risibili quali l'alta conducibilità termica del metallo, la composizione chimica delle polveri da sparo, il traffico illegale di armi nel bacino mediterraneo, proprio mentre l'assassino gli passava la canna della pistola sul volto per poi piazzargliela senza indugi sulla tempia che pulsava all'impazzata. Ma ora non aveva senso pensare a queste cose, non c'era proporzione, non era il caso di perdersi in simili quisquilie, non c'era più tempo. La canna aveva raggiunto la temperatura corporea dell'ispettore capo del commissariato di Polizia di Quarto Oggiaro abbastanza in fretta, nonostante avesse sparato poco prima.
Ora toccava a lui.
È evidente che in condizioni diverse sarebbe fuggito a gambe levate. Ma un'altra nota legge, quella dell'impenetrabilità dei corpi, non gli permetteva, come avrebbe voluto, di attraversare i lacci che lo legavano alla sedia come un salame di stagione e di fuggire all'improvviso, lasciando lì pure i vestiti e le scarpe, proprio come nei cartoni animati.
Stava morendo. E gli dava un particolare fastidio. Per la precisione si cagava sotto, ma non sono cose da dirsi di un uomo ormai prossimo alla fine.
Cercò di ripristinare il dialogo interrotto con il suo interlocutore, così, tanto per provarci ancora una volta, ma sapeva che non c'erano speranze. Quello che c'era da dire era stato detto, le carte erano state tutte giocate, era ora di saldare i debiti e lasciare il tavolo da gioco.
Il killer alzò il cane della pistola senza enfasi, non tanto per prolungargli l'agonia ma come un'abitudine che si prende da bambini e che ti porti dietro fino in tarda età.
Lanza cercò di pensare a qualcosa di bello, quasi a voler morire con un pensiero positivo nella testa, in una sorta di estrema resistenza passiva dell'intelligenza nei confronti dell'assurdità dell'accadimento in atto. Gli frullarono per la testa, come in un vortice, il volto di sua moglie, gli origami, la tavola sinottica degli elementi, la cassata siciliana, i numeri primi, il gol di Maradona contro l'Inghilterra al mondiale, i fotoni, il Giudizio Universale nella controfacciata della cattedrale di Torcello, il canto delle megattere, poi ancora sua moglie. Ansimava rumorosamente, era completamente immerso nel suo sudore, il cuore pompava ad un ritmo forsennato, stava per vomitare da un momento all'altro. Non era un bello spettacolo a vedersi.
Poi l'uomo in piedi impresse la forza necessaria al grilletto affinchè il cane ruotasse sulla cerniera per innescare il sistema a percussione tipico delle armi da fuoco.
Un rigo di sangue sporcò le labbra di Lanza mentre la sua testa si accasciava sul petto.
L'artificiere fece un passo indietro bestemmiando parole incomprensibili. Poi si girò verso il suo compare, stupefatto.
«Cazzo. Questo si è pisciato sotto. Che schifo! »
L'altro rise, come se gli avessero appena raccontato una barzelletta. C'era sangue dappertutto, e l'uomo con la pistola sembrava furibondo all'idea di pestare con le sue scarpe il lago patetico che si era formato sotto la sedia di Lanza. Neppure toccasse a lui fare le pulizie di primavera.
Gli assassini sono persone imprevedibili.

Valutazioni e recensioni

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archipic
Recensioni: 3/5

Più che discreto questo secondo episodio delle indagini di Ferraro. Soffre un po nella parte centrale per un brusco rilassamento del ritmo narrativo, ma per il resto rimane una piacevole lettura. Migliora la caratterizzazione del protagonista che fa presupporre un suo miglio sviluppo nei romanzi successivi.

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Daniele B.
Recensioni: 5/5

Secondo estratto dalla serie del Commissario Ferraro che è a mio avviso tra i più belli della serie se non il più bello, non per niente risulta anche premiato anche con il Premio letterario Franco Fedeli e altri riconoscimenti.

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Chiara
Recensioni: 5/5

L'ispettore Michele Ferraro sembra, a prima vista, un "medioman": un quarantenne divorziato costretto a far i conti con il frigo vuoto, con una laurea nel cassetto, con la solitudine non certo da numero primo, ma da persona fin troppo comune, a metà fra due universi spesso in conflitto. Cresciuto a Quarto Oggiaro, quartiere popolare alla periferia di Milano, fra contrabbandieri e svitati, si ritrova - per scelte d'emergenza - a dover spesso trasportare in caserma i suoi amici di infanzia. Lui, che si definisce inventore dell'happy hour per aver saccheggiato il buffet di uno dei locali del centro, è un poliziotto che si nutre di una propria, personalissima idea di giustizia e non si tira indietro quando si tratta di danneggiare irrimediabilmente la jeep di un figlio di papà responsabile di aver dato fuoco al giaciglio di un barbone. Nonostante una routine fatta di caffè alle macchinette con il collega Comaschi, di dentiere scippate e risse fra immigrati, si troverà ad indagare su una presunta faida di mafia destinata ad inaugurare una nuova stagione della malavita italiana. Grande attenzione all'ambiente, descritto in modo assolutamente realistico. Lo stereotipo universale si fonde con la particolarità dell'ambientazione. Biondillo è anche molto bravo a descrivere i sentimenti degli oggetti: si prova una sorta di empatia anche per la sveglia che decide di suicidarsi dopo anni e anni di scarpate sulla testa, e per la macchinetta del caffè che si impegna al massimo per elargire una buona bevanda al suo adorato ispettore Ferraro! Insomma: 500 pagine scorrono fra le dita senza nemmeno accorgersene, un romanzo che consiglio a tutti.

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Recensioni

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La recensione di IBS


“Il suo probabile relatore di tesi lo odiava, Zeni lo aveva incastrato per benino, in commissariato ridevano di lui, De Matteis gli passava casi da neurodeliri, la sua ex moglie lo umiliava e lui stesso aveva una paura fottuta di non riuscire neppure a fare il primo degli esami necessari per raggiungere la laurea. Cosa mancava? Iniziò a piovere, grandine.”

Aveva deciso di dimettersi, di lasciare il commissariato di Quarto Oggiaro, e di riprendere a studiare. Ma Michele Ferraro, chiodo o ciòd per gli amici, non ha fatto i conti con il vicequestore Zeni e la sua mente machiavellica. Quindi, poche storie, che studi pure, che dia esami, ma di dimissioni neanche a parlarne. Ed ecco allora il commissario “con la patente di quartoggiarese” ancora alle prese con la varia umanità di uno dei quartieri più malfamati (e malconosciuti) di Milano: un quartiere che il protagonista – e l’autore – vive, cerca di comprendere; un quartiere nel quale è nato, cresciuto, ha fatto amicizie, ha trovato l’amore, lo ha perso; un quartiere nel quale esiste una socialità, una sua etica, talvolta distorta, talvolta molto più sana di quella che appartiene a certi giovani della Milano bene.

Ma il quartiere è solo “l’interno” nel quale si svolge questa rappresentazione. “L’esterno” è – come nel romanzo d’esordio Per cosa si uccide – l’intera città di Milano: la Stazione Centrale, le zone circostanti popolate di slavi, cingalesi, senegalesi, il silenzio della basilica di Sant’Ambrogio, la folla vociante dell’happy hour, le aree industriali dismesse, abbandonate dai milanesi e dominate da bande di extracomunitari… Vie, palazzi, case che danno corpo e interpretano la mentalità di chi li ha costruiti e di chi ora li vive.

Non fraintendete: la trama, noir, c’è ed è di tutto rispetto, tra tentati stupri, omicidi, pire sacrificali, pareggiamenti di conti, colpi di scena. E sta al lettore scoprirla passo passo e gustarla appieno. Ma è innegabile che la vera forza di questo libro stia nei personaggi: a partire dal protagonista, il commissario Ferraro, un po’ sfigato, un po’ imbranato, alle prese con assistenti universitari vendicativi, una ex moglie sempre perfetta, una figlia cui propone solo pizza, poliziotte che la prolungata astinenza sessuale (di Ferraro) trasforma in sensuali ammaliatrici… e poi i colleghi, già presenti nel romanzo precedente: dallo “sbirro d’avanspettacolo”, Comaschi, cui il Signore ha donato tutto il senso dell’umorismo sottratto al povero Lanza, geniale e surreale insieme, fino a De Matteis, “forte con i deboli, debole con i forti”. E poi le tante persone incontrate, umanissime nelle loro contraddizioni: barboni dal passato glorioso, giovani leoni che si trasformano in timidoni appena fuori dal quartiere, vecchiette cui hanno rubato la dentiera, ex mafiosi, professori preoccupati per i “loro ragazzi”.

Bella la storia, belli i personaggi, e bella la scrittura. Una prosa varia, che sa essere elaborata, allusiva, ammiccante (da Dante a Leopardi, da Elio e le storie tese a Vasco…), o secca, pungente, caustica, e soprattutto autoironica. Una scrittura che scorre, che appassiona, che diverte. Per capire, arrivate alla scena tragico-comico-epica del tiro alla fune: riuscite a immaginarvi (senza ridere) quei sedentari papà milanesi impegnati in una lotta all’ultimo sangue per primeggiare di fronte a pargoletti ed ex mogli?

A cura di Wuz.it

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Conosci l'autore

Gianni Biondillo

1966, Milano

Architetto e saggista scrive per il cinema e per la televisione. Fa parte della redazione di Nazione Indiana. Ha pubblicato per l'Universale di Architettura diretta da Bruno Zevi, Carlo Levi e Elio Vittorini. Scritti di architettura (1997) e Giovanni Michelucci. Brani di città aperti a tutti (1999). Nel 2001 ha pubblicato, per Unicopli: Pasolini. Il corpo della città, con un'introduzione di Vincenzo Consolo. Il suo primo romanzo, nel 2004 per i tipi di Guanda, è Per cosa si uccide, "un tributo di riconoscenza dello scrittore verso la propria città, che viene descritta in tutte le sue molteplici sfaccettature". Sempre per Guanda sono usciti Con la morte nel cuore  (2005), Per sempre giovane (2006), Il giovane sbirro (2007) e nel 2008 la raccolta di saggi...

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