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E' difficile che un medico scriva un libro, riconoscendo con tanta semplicità e onestà anche i propri errori. L'autore parte dai propri errori per sviluppare un pensiero profondo che arriva fino all'anima e che, alla pedissequa applicazione della filosofia cartesiana, preferisce mettere in scena non il sintomo, non la malattia, ma l'uomo nella sua interezza. L'uomo con le sue paure, le sue ansie, i suoi conflitti e le sue risorse. Dagli errori commessi quando è ancora un giovane assistente, alla capacità di insegnare, (quando è ormai divenuto docente universitario), agli studenti di medicina, l'importanza della comunicazione della malattia grave. La sua lettura del "sentire" del malato e dei familiari, fornisce uno spunto di riflessione che, nel mio ruolo di medico di famiglia e di psicoterapeuta familiare, di didatta dell'Istituto di Terapia Familiare di Treviso, non dimentico mai di citare, quando ogni anno vengo chiamato a tenere un seminario sulla relazione medico/paziente agli studenti di medicina del sesto anno dell'Università di Udine. La relazione medico/paziente, questa sconosciuta...E' sconosciuta pure la medicina di famiglia presso le università dove ancora non viene istituzionalizzata, mentre nel resto d'Europa il suo insegnamento avviente in quell'ambito. C'è bisogno di porre l'accento sul "sentire" lasciato in disparte in questi anni, per far spazio alla frammentazione di una medicina onnipotente dove protagonista è il sintomo o la malattia ma mai l'uomo e dove le emozioni vengono sacrificate sull'altare di un'idea salvifica capace di negare perfino la morte. Ivano Cazziolato
E ORA CHE GLI DICO? Non esiste un modo migliore di comunicare la diagnosi, quando sappiamo che questa può sconvolgere la vita di chi ci ascolta. Ieri due mamme di bambini colpiti da una forma di tumore maligno mi hanno descritto tra le lacrime il modo con cui i medici avevano detto “non possiamo fare più niente”. Ai colleghi suggerisco il bel libro di Robert Buckman: “La comunicazione della diagnosi in caso di malattie gravi” (Raffaello Cortina Ed, 2003). Riflettendoci, eviterebbero di far soffrire persone già troppo segnate. Servirà a convincerli che il cosiddetto “counseling” fa parte delle professione del medico, perché scienza capace di tutelare le persone loro affidate. Da Salute (La Repubblica) febbraio 2003
Recensioni
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Adesso anche in Italia il protocollo di cura dei pazienti tumorali prevede che dell'equipe dei curanti faccia parte anche uno psiconcologo, tra le cui competenze rientrerebbe anche la formazione sui problemi di comunicazione col paziente. Ma il saggio di Buckman, che insegna all'università di Toronto, è molto diverso da quelli in uso nei nostri atenei. C'è davvero l'Atlantico di mezzo. Da noi si parla di angoscia di morte, di meccanismi di difesa, di psicodinamiche relazionali, di umanizzazione dell'ospedale. Buckman, nei suoi corsi ai medici su come comunicare la diagnosi di malattie gravi, svolti con l'ausilio di audiovisivi, insegna come tenere le mani, come sedersi, quali dovrebbero essere le caratteristiche del locale scelto per il colloquio, come rispondere alle domande, quali parole usare. Basta leggere la bibliografia di questo utilissimo manuale per rendersi conto che vi è ben poco spazio per la teoria: non è citato nessun mostro sacro della psicoanalisi, solo articoli e testi tecnici. Buckman è medico oncologo, e da medico si è trovato a doversi "inventare" un modo per gestire il momento drammatico della comunicazione della diagnosi di cancro. Ha quindi elaborato un metodo, e da oltre dieci anni insegna ai medici a essere accoglienti e contenitivi coi pazienti, a comprenderne e rispettarne le reazioni emotive, a evitare errori comunicativi. Questo saggio, scritto con il contributo di una psicoterapeuta, spiega con un pragmatismo disarmante le regole e le tecniche da utilizzare, senza pretendere di trasformare i medici in psicoanalisti. Per questo può essere davvero utile ai medici. Speriamo che lo leggano.
Daniela Ronchi della Rocca
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