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recensioni di Carluccio, G. L'Indice del 2000, n. 07
La prima edizione del libro di Carringer uscì nel 1985, un mese prima della morte di Welles, avvenuta il 10 ottobre di quell'anno. Se Carringer si era preoccupato di sottoporre allo stesso Welles il manoscritto del suo Making of "Citizen Kane", in cui cercava di ricostruire le complesse vicende produttive del film (compresa la nota querelle sulla paternità effettiva della sceneggiatura), il regista non aveva peraltro mai restituito il testo né espresso critiche o fornito elementi nuovi. Il libro che esce ora in traduzione italiana corrisponde all'edizione successiva del 1996, in cui Carringer tiene conto delle molte informazioni sulla produzione di Quarto potere raccolte dopo la morte di Welles da biografi e studiosi del regista (come Barbara Leaming, Frank Brady e Simon Callow), oltre alla documentazione già utilizzata per la prima edizione, corrispondente in gran parte alla oggi dispersa Welles Collection, proveniente dagli archivi Rko, arricchita da disegni, bozzetti, foto di scena presenti pure nell'edizione del Castoro.
Il lavoro di Carringer è comunque qualcosa di più e di diverso da una meticolosa (e appassionante) ricostruzione della genesi di un film considerato da molti come il più importante della storia del cinema.
Il libro non solo chiarisce le tappe della realizzazione del film e i rapporti tra Welles e le maestranze Rko, stabilendo con pacatezza e obiettività il ruolo degli apporti di ciascuno, dal direttore Rko George J. Schaefer, che offre all'esordiente regista ventiquattrenne (già enfant prodige del teatro e star della radio) un contratto senza precedenti a Hollywood, allo sceneggiatore Herman J. Mankiewicz, al direttore della fotografia Gregg Toland e così via; ma pure, e proprio a partire da un caso eclatante di film d'autore (e per molti, a cominciare da Bazin e dai critici francesi dei "Cahiers du Cinéma", dell'autore per eccellenza), solleva più in generale la questione dell'autorialità nel cinema, e nel cinema hollywoodiano in particolare, mettendola sostanzialmente in discussione.
La ricostruzione di Carringer, infatti, più che a esaltare il ruolo dell'autore-Welles, punta a cogliere ed evidenziare quella che in termini moderni potrebbe definirsi la sinergia di un lavoro d'équipe, fortemente organizzato e distribuito secondo competenze tecniche e professionali intorno alla personalità di un artista che a un certo punto risulta funzionale a una certa strategia industriale, e che viene comunque costantemente sostenuto e nutrito dai saperi (e dalla creatività) degli altri impiegati di studio.
In questa prospettiva anche la famosa (e oggi superata) questione sollevata dal critico americano Pauline Kael all'inizio degli anni settanta sulla paternità della sceneggiatura (a favore di Mankiewicz contro Welles) non interessa tanto nel senso di stabilire chi sia il vero autore di Quarto potere, quanto piuttosto perché pone in discussione la monoliticità e compattezza di un'opera concepita come il risultato coerente e naturale di una personalità artistica che si afferma idealisticamente e prepotentemente al di sopra della tecnica e delle regole dell'industria hollywoodiana.
La posizione di Carringer risulta quindi lontana, se non addirittura opposta, alla politique des auteurs promossa dalla Nouvelle Vague francese, o alla sua versione americana, sostenuta dal critico Andrew Sarris, come sottolinea con chiarezza l'introduzione di Elena Dagrada all'edizione italiana del libro.
Ma se dalle pagine di Carringer, a partire dal caso in questione, emerge quindi una concezione del cinema che ristabilisce il ruolo dell'industria e della creatività collettiva degli studios hollywodiani, al di là della leggenda e del mito Welles, è tuttavia significativo che questo resoconto obiettivo e preciso della genesi del film non riesca a ridimensionare di alcunché il fascino e la ricchezza della personalità wellesiana. Anzi, paradossalmente, entrando nella bottega di Quarto potere, la complessità della realizzazione e la pluralità degli apporti sembrano rilanciare il gioco e, visti dall'interno, fornire ulteriori spunti o chiavi di lettura a un'opera che continua a risultare eccessiva, eccezionale e, anche in relazione ai film successivi ed extrahollywoodiani del regista, estremamente e propriamente wellesiana.
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