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Anno edizione: 2019
Anno edizione: 2020
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Tre poeti che raccontano, in poesia e prosa (in stile diario di viaggio), la realtà di quelle linee di confine dure e algide della Bosnia Erzegovina e della Croazia. Ci si interfaccia in modo brusco e senza fronzoli con l'interminabile inverno (concreto e simbolico) dei rifugiati in quelle zone e quello degli sfollati, infiniti volti giovani e anziani che la guerra ha sospinto vanamente altrove, alla ricerca di futuro e speranza, riconoscimento e dignità. La parte iniziale del libro (dedicata alle poesie di Maria Grazia Calandrone) mi aveva lasciata un po' interdetta: notavo una poesia dell'autrice talmente prosaica da percepire inutile i versi a capo, le spaziature, tutto. Mi dicevo "è un diario di viaggio incastrato casualmente dentro una struttura poetica". Più procedevo con la lettura, più intuivo e sentivo sulla pelle il brivido e il gelo della verità che si stava imprimendo con quelle parole. Ho capito il messaggio di quella poesia senza rime. Ho capito la mano che strozza la gola a tutte le speranze armoniche di ciò che può essere poesia, e che in quei luoghi non si riesce nemmeno a sognare. Al massimo, a ricordare. A piangere. La seconda parte è una sezione di poesie di Alessandro Anil, che riesce a consegnare – seguendo il filo amico della prosaicità – un'immagine di nostalgia talmente forte che esce dalle pagine e dalle parole. Certe cose si possono sentire. Le pareti nude, i gradini vecchi, le stanze vuote: tutto si tocca e si respira l'assenza, la fuga. La terza parte è un diario di viaggio scritto da Franca Mancinelli: non mi esprimo, lascio che sia una sorpresa impattante per il futuro lettore di questa testimonianza. All'ultima pagina ho pianto. Ho deciso di volerla imprimere dentro di me per sempre. Un libro che non sembra, dai suoi esordi, così potente; ma ha la capacità di prendere in mano la coscienza e accompagnarla di fronte agli orrori che il nostro privilegio ci consente di non vivere, neppure di sapere.
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