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roprio come nel gioco del domino, in cui da bambini si avvicinano parti di tessere combacianti (nonostante la loro diversità), questo romanzo è una celebrazione dell’unità e dell’’identità. 🧩 Due sono le storie che il romanzo presenta al lettore, apparentemente con un unico punto in comune: entrambe, infatti, sono ambientate in Lettonia. 🧩 In realtà, però, esse confluiranno in un unico racconto mostrando numerose analogie tra di loro: nei capitoli pari il protagonista è un ragazzino, il cui nome resta sconosciuto al lettore, spettatore della Seconda Guerra Mondiale nel freddo paese baltico. I capitoli pari, invece, narrano la storia di Waltraute Von Brüggen, ricca baronessa residente in una Livonia del Diciottesimo secolo. 🧩 Come già anticipato, perno centrale delle due storie è il tema dell’identità: nella prima storia, infatti, il ragazzino scopre in adolescenza di avere un fratellastro (da parte di madre), il cui padre è giapponese! Il protagonista ben racconta lo shock ed il significato dell’essere “diverso” in una Lettonia del 1940. 🧩 Waltraute, invece, perde il marito in battaglia e scopre, però, che la parte inferiore del suo tronco è stata cucita, da un noto chirurgo, alla parte superiore del busto di un altro uomo (tale Bartolomeo Ulste - che scopriremo avere qualcosa in comune con il ragazzino protagonista dei capitoli pari). 🧩 La vera protagonista del romanzo, però, è la Lettonia: attraverso la narrazione perviene al lettore la vera identità di questo bellissimo paese, negli anni invaso da una moltitudine di culture (polacche, svedesi, russe e tedesche), fino a quando, nel 1991, giunge alla sua sofferta indipendenza.
Questo piccolo gioiello è considerato uno dei classici della letteratura balcanica ed a ragione. Due storie si intrecciano, una ambientata alla fine del 1700 ed un'altra che incontra i principali eventi del XX secolo in una Lettonia che deve combattere non solo la guerra ma anche le sue difficili contaminazioni culturali. Un romanzo costruito magistralmente, un romanzo d'amore, di perdita e di desiderio, una splendida allegoria attorno al significato di identità.
Sono rimasta contenta di scegliere questo libro “al buio” come ormai faccio abitualmente quando si tratta di un libro edito Iperborea. La trama è un intreccio di due storie diverse, una incentrata sulla vita di una famiglia lettone durante la Seconda Guerra (e anche oltre) e l’altra è la storia di una baronessa vissuta alla fine dell Settecento-inizio Ottocento. Entrambe le storie sono molto interessanti, talvolta mi è sembrato però che l’autore si soffermasse poco su certi avvenimenti storici: forse un approfondimento sarebbe stato gradito. È un libro che consiglierei sia per l’ulteriore punto di vista sulla guerra in un altro paese europeo, sia per la punta di realismo magico. Come bonus alcuni personaggi storici sono sviluppati anche bene e credo, sconosciuti al largo pubblico.
Recensioni
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Un’anima baltica e i mali del secolo breve
Ai tifosi di canoni occidentali – chi frequenta Americhe ed Europa occidentale e non vuol saperne del resto, non immaginando quello che si perde – avrà fatto storcere il naso, di primo acchito, il nome di Zigmunds Skujins, novantenne lettone, uno che arriva da una delle periferie dell’impero mondiale letterario, popolarissimo in patria, ma praticamente solo lì, se si pensa che l’edizione italiana del suo capolavoro (pubblicato in patria nel 1999) è la quarta all’estero. Eppure siamo dinanzi a un autore che sa come prendere per mano un lettore e condurlo verso vette inaspettate. Un’anima baltica che ha qualcosa da dire sul destino, sull’uomo, sul senso della vita, sulla Storia attraverso alcune gustosissime storie (alcuni potrebbero tranquillamente essere racconti autonomi e conclusi) e personaggi stralunati e indimenticabili, fieri e orgogliosi.
Il suo debutto in Italia, con la traduzione di Margherita Carbonaro, è Come tessere di un domino, e si deve alla casa editrice Iperborea. Nell’opera di Skujinš, che diverte e commuove, c’è inevitabilmente – con quel pizzico di surreale e allegorico che raramente guasta – il secolo breve tra il 1939 e il 1991, ci sono il passato e le radici del suo popolo, schiacciato tra Germania e Urss, fra le nefandezze di due dittature. Skujins è abile nel raccontare due vicende parallele ma diverse (anche per stile di scrittura), quella di una famiglia lettone del Novecento e la settecentesca storia della baronessa von Brügger. Davanti agli occhi del narratore della prima storia, bimbo cresciuto in un maniero da un nonno speciale, che noleggia carrozze e cavalli (i genitori, artisti circensi, hanno preferito andar via per esibirsi in giro per l’Europa) si srotolano pagine di storia senza libertà della Lettonia; accanto a lui una baronessa tedesca ed ebrea, che di volta in volta rinnegherà le proprie origini, Janis, fratellastro, con padre giapponese, del protagonista, e un misterioso Aviatore (ispirato a un individuo realmente esistito, un nazista), che avrà un ruolo chiave. Nell’altra storia un’aristocratica tedesca, Waltraute von Brüggen, non è vedova del… tutto. Il marito, Eberhard von Brügger, è morto a metà in guerra, dalla cintola in su, un alchimista misterioso ha ricucito la parte inferiore del suo corpo con quella superiore di un commilitone lettone, il capitano Bartolomejs Ulste, che si trova a Jelgava, dove da Riga lo raggiungerà la baronessa, destinata a esserne sedotta
Trattasi di affresco riuscitissimo, di romanzo novecentesco nella più nobile accezione del termine: profondo e caleidoscopico, che abbatte i generi, o ne attraversa tanti. Non disdegna la riflessione filosofica, Skujinš, in quello che è ritenuto il suo titolo più rappresentativo. E fa i conti, con più di un personaggio, col peso del tempo e della Storia, con la pesantezza delle illusioni, col conflitto perenne fra reale e ideale, fra magico e concreto, con i disastri del secolo breve, con l’anima lettone, quella di un paese che ha vissuto e attraversato molte delle peggiori tragedie con cui ha fatto i conti l’umanità.
Recensione di Giovanni Leti
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