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Mi pare che Mauro Corona stia invecchiando troppo rapidamente, perché altrimenti non si spiegherebbero in altro modo libri come La voce degli uomini freddi e questo Come sasso nella corrente, opere che, per quanto diverse, segnano a mio avviso un calo della creatività e, soprattutto, un accentuarsi di qualche difetto che prima invece era quasi sporadico. Già avevo stigmatizzato La voce degli uomini freddi, incredibilmente candidato al Premio Campiello, e ora non posso fare a meno di essere scontento di Come un sasso nella corrente, una sorta di lascito dell'autore, che è una via di mezzo fra la necessità di volgersi all'indietro e fare un bilancio della propria esistenza e un memoriale, con cui ripercorrere il passato dandogli ordine. L'inizio, in verità, mi ha folgorato, con un ritmo giustamente lento e un quadro, in cui sono più gli scuri che i chiari, e che può far ricordare certe opere dei pittori fiamminghi del rinascimento. Tuttavia, pagina dopo pagina, pur in presenza di accenni poetici, la scrittura è diventata sempre più verbosa, con la presenza di similitudini non sempre felici, tanto che in me è subentrato un senso di noia. L'assenza di dialoghi, poi, non fa che peggiorare la situazione, così che diventa sempre più difficile andare avanti, anche perché ho ricavato l'impressione che Corona gridi questa sua verità a un muro e non al lettore stesso. Fino a che punto sia stato sincero non lo so, ma mi resta più di un dubbio e questo non giova a un'opera in cui l'autore dovrebbe aprirsi, anche sfacciatamente, al mondo. Resta comunque il fatto, e credo che questo giudizio sia difficilmente contestabile, che in Corona si assiste da un po' di tempo a un'accentuata involuzione, come se oltre a non aver più nulla da dire, continuasse a scrivere più per se stesso che anche per i lettori. Si spiegherebbe così come mai un narratore che fra le sue caratteristiche aveva anche quella di una straordinaria leggerezza di esposizione sia diventato greve come un macigno.
veramente brutto primo e ultimo libro che leggo di corona
Come sempre, Corona punta occhi e anima sulla Natura, attento e sensibile alle sue esigenze e ai suoi mutamenti d'aspetto e di umore e altrettanto abilmente fa con gli uomini, sviscerandone vite, abitudini, condizionamenti, limiti, pene e soddisfazioni. Con stile musicale e poetico, passa attraverso l'incedere del tempo, tra malinconia, rassegnazione o ribellione; qui il tono è ancora più sommesso e angosciato del solito, per cui questo libro va letto lentamente, poche pagine alla volta, innanzitutto per assaporare e penetrare al meglio le sue parole e i suoi pensieri, ma anche per non farsene troppo coinvolgere o invadere, visto il profondo dolore che emana da ogni pagina. Non scorre rapido come una fiaba, ma comunque incanta e magnetizza, pur trasmettendo angoscia. Verso la fine diventa struggente e accorato come non mai. Uno scrittore davvero eccellente, pieno di fascino e di quella saggezza semplice e lineare che arriva dritta allo scopo. E al cuore. Lo adoro!
Recensioni
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Mauro Corona racconta la storia di un uomo coraggioso fino all’ultimo giorno, dell’amore impossibile, delle mani che conoscono il legno e la roccia, del tempo che passa e delle parole sono in grado di fermarlo.
In una stanza immersa nella penombra una
donna, giunta all’autunno della vita, si muove
lentamente appoggiandosi a un bastone. Intorno
a lei sculture di ogni tipo. La donna le sfiora
e insegue il ricordo di un uomo. Un uomo
schivo, selvatico, che però ha saputo rendere
eterno nel legno il sentimento che li ha uniti.
Ogni statua evoca un episodio della vita avventurosa
che quell’uomo ha vissuto e amava
condividere con lei, le difficoltà di un’infanzia
di povertà e abbandoni, in cui la più grande
gioia era stare con i fratelli e i nonni attorno
al fuoco, la sera, imparando a intagliare il
legno, o sentire la vibrante intensità della natura
durante una battuta di caccia. Ogni angolo
arrotondato delle sculture fa affiorare in
maniera dirompente l’orgoglio e la rabbia di
quel giovane che, crescendo, aveva voglia di
farcela da solo, cancellando le ombre del passato
che lo tormentavano.
Ma quei profili, quelle figure che ancora
profumano di bosco, raccontano anche che
l’amore può trovare pieno compimento solamente
nella trasfigurazione, nel sogno, perché
l’unica via per non rovinare quel sentimento
vero e cristallino è allontanarlo dalle
mani dell’uomo che, nella sua intrinseca incapacità
di essere felice, finirebbe inevitabilmente
per sprecarlo.
Dai boschi che Mauro Corona ci ha insegnato
ad ascoltare e ad amare si leva in questo
romanzo una voce nuova, per molti versi
inaspettata, a tratti dolente ma non per questo
meno energica. Questo libro è il mémoire di
un’infanzia negata, segnata da brutalità e miseria,
di una vita scandita dai ritmi implacabili
della natura, delle sue necessità, delle sue
catastrofi, e insieme un canto di struggente
dolcezza sulla possibilità di salvare sempre,
in mezzo alla fatica di vivere, dignità, umanità
e anche profonda tenerezza. Mauro Corona
racconta la storia di un uomo coraggioso
fino all’ultimo giorno, dell’amore impossibile,
delle mani che conoscono il legno e la roccia,
del tempo che passa e delle parole che – a volte – sono in grado di fermarlo.
Un romanzo di straordinaria intensità che segna, nella produzione
di Corona, un vero momento di passaggio.
Come la “Cuna dei morti che piangono”
narrata nelle ultime pagine, è la fessura stretta
in cui il senso di un’esistenza converge ma da
cui nascono, come germogli a primavera, nuove
mirabili storie da narrare intorno al fuoco.
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