In una stanza immersa nella penombra una donna, giunta all'autunno della vita, si muove lentamente appoggiandosi a un bastone. Intorno a lei sculture di ogni tipo. La donna le sfiora e insegue il ricordo di un uomo. Un uomo schivo, selvatico, che però ha saputo rendere eterno nel legno il sentimento che li ha uniti. Ogni statua evoca un episodio della vita avventurosa che quell'uomo ha vissuto e amava condividere con lei, le difficoltà di un'infanzia di povertà e abbandoni, in cui la più grande gioia era stare con i fratelli e i nonni attorno al fuoco, la sera, imparando a intagliare il legno, o sentire la vibrante intensità della natura durante una battuta di caccia. Ogni angolo arrotondato delle sculture fa affiorare in maniera dirompente l'orgoglio e la rabbia di quel giovane che, crescendo, aveva voglia di farcela da solo, cancellando le ombre del passato che lo tormentavano. Ma quei profili, quelle figure che ancora profumano di bosco, raccontano anche che l'amore può trovare pieno compimento solamente nella trasfigurazione, nel sogno, perché l'unica via per non rovinare quel sentimento vero e cristallino è allontanarlo dalle mani dell'uomo che, nella sua intrinseca incapacità di essere felice, finirebbe inevitabilmente per sprecarlo. Dai boschi che Mauro Corona ci ha insegnato ad ascoltare e ad amare si leva in questo romanzo una voce nuova, per molti versi inaspettata, a tratti dolente ma non perciò meno energica. Questo libro è il mémoire di un'infanzia negata, segnata da brutalità e miseria, di una vita scandita dai ritmi implacabili della natura, delle sue necessità, delle sue catastrofi, e insieme un canto di struggente dolcezza sulla possibilità di salvare sempre, in mezzo alla fatica di vivere, dignità, umanità e anche profonda tenerezza. Mauro Corona racconta la storia di un uomo coraggioso fino all'ultimo giorno, dell'amore impossibile, delle mani che conoscono il legno e la roccia, del tempo che passa e delle parole che - a volte - sono in grado di fermarlo. Un romanzo di straordinaria intensità che segna, nella produzione di Corona, un vero momento di passaggio. Come la "Cuna dei morti che piangono" narrata nelle ultime pagine, è la fessura stretta in cui il senso di un'esistenza converge ma da cui nascono, come germogli a primavera, nuove mirabili storie da narrare intorno al fuoco. )
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