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Nell'affettuosa e approfondita postfazione al volume di versi "Colori e altri colori" di Fabrizio Dall'Aglio, Paolo Lagazzi ripercorre tutta la parabola del poeta reggiano, a partire dalla prima raccolta, uscita nel 1984, fino a quest'ultima: e riscontra in essa una coerenza di fondo, pur nella diversità di temi e toni, derivante dal temperamento dell'autore, da una sua "strana leggerezza...svagata nonchalance: ...una refrattarietà radicale, primaria a ogni retorica, a tutte le trappole dell'ideologia, della rigidezza o del pensiero unico". Un'uguale "sotterranea, irriducibile dolcezza" ritroviamo in quest'ultimo volume di Dall'Aglio, tutto giocato sulle note della nostalgia, di una tenerezza che si abbandona allo sguardo indulgente su cose, persone, ricordi, natura. La prima sezione, intitolata "Colori", ricorda certo le sfumature di alcuni versi di Bertolucci (come suggerisce Lagazzi), ma forse ancora di più la delicata serenità di Carlo Betocchi, dei suoi cieli azzurri, dei tetti rossi, delle estati gialle, nelle pennellate impressionistiche e ariose di alcuni versi: "Ma forse ci fu un giorno / che il cortile / gridò di bianco / come un filare steso di lenzuola". L'infanzia del poeta si riaffaccia vivida nelle poesie dedicate al piccolo borgo di Macigno, di cui ricorda la vecchia casa nel verde, e nell'unica struggente prosa ("Il fiume"), animata dalle acque del torrente Crostolo, dal greto attraversato coi sandali di gomma, in cerca di pesci, tra i mulinelli della corrente, le alghe e i rovi dei cigli. Acqua che diventa metafora del cambiamento, e del tempo che scorre implacabile, allontanandoci dal nucleo primigenio della nostra storia personale. E proprio il tempo è protagonista dell'ultima sezione del libro, forse la più riuscita, di "Dediche" ad amici presenti o lontani, alla moglie, a poeti noti o emergenti, sempre alla ricerca di una memoria comune o accomunante, di un momento prezioso e condiviso a cui aggrapparsi, da non lasciar sfuggire.
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